lunedì 10 gennaio 2011

The Carpet Knights - Lost and So Strange Is My Mind (2005)

I Carpet Knights sono un quintetto svedese attivo dal 1998 che debutta con questo Lost and So Strange is My Mind. La band presenta uno stile che tenta di essere un ibrido di diverse sonorita': alla base prog fatta di cambi di tempo, psichedelia, flauto, si aggiungono tratti hard o acidi, vicini a certi Led Zeppelin, suoni dark alla Velvet Underground o addirittura grunge, Pearl Jam piu' che Nirvana. La band e' composta da Mattias Ankarbrauth a batteria e percussioni, Tobias Wulff alla chitarra, Magnus Nilsson e' cantante e flautista, Joakim Jönsson chitarrista e cantante, Nils Andersson al basso. L'album comincia con All Be the Same: bella intro di chitarra, poi parte un flauto molto indovinato a riprodurre una melodia che regge da sola tutta la canzone, le due voci all'unisono fanno il resto. L'album parte con una canzone molto rafiofonica e risultante la piu' allegra del lotto, un prog rock d'annata collaudato e sicuro. No Space No Spare e' stavolta introdotta dal basso con subito le due chitarre a subentrare presto incalzate dal flauto. Questa canzone sembra uscita da "Thrak" o "Discipline" dei King Crimson per l'armonia creata da chitarra-chitarra-basso con le due voci ad intersecarsi, esattamente come la band londinese ha insegnato nella seconda parte della loro carriera, piu' il flauto che ci ricorda che non stiamo ascoltando questi ultimi. Ma la caratteristica che piu' rimanda ai Cremisi e' l'atmosfera agrodolce che la band riesce a costruire, quel misto di ansia e dolcezza. La traccia seguente e' Zonked, sulla stessa falsariga, cioe' chitarre in duello, basso ben presente, una voce per le strofe doppia per il ritornello. Un'altra canzone molto indovinata contribuisce a mantenere alto il livello. The Mist invece cambia pagina, infatti si tratta di una ballata introdotta classicamente da chitarra acustica e voce, per poi partire bene con un pezzo strumentale tirato e nervoso al punto giusto con le chitarre gran protagoniste e voce singola stavolta. Il ritornello adesso e' invece malinconico ma inquieto, non comunica tristezza ma una specie di smarrimento. La seconda parte della canzone e' interamente dedicata ad un bell'excursus strumentale per chitarre e basso. Fools and Silent Corner e' invece piu' hard, senza essere troppo cattiva, ma rimanendo nei limiti di certa malinconia dark. Chitarre, voce e flauto gli ingredienti che ormai conosciamo di una canzone un po' al disotto delle precedenti. La prima parte del disco finisce qui, cinque canzoni molto belle, brevi e dirette. La seconda parte e' formata da tre canzoni piu' lunghe, fra i 6 e i 10 minuti, e una breve di tre, un po' meno riuscite ma con momenti che meritano sicuramente. Sad Soul e' sostenuta da un bel arpeggio di chitarra, con l'altra chitarra in sottofondo e la voce principale protagonista; l'atmosfera e' piu' triste e rarefatta rispetto alle precedenti canzoni, un brano che preferisce mantenersi leggero e sommesso. Anche qui la seconda parte e' interamente coperta da un bel solo di chitarra accompagnata dal flauto. Feel It e' invece piu' decisa e pesante, e infatti mi piace di piu'. E' introdotta da un riff di chitarra che e' forse il piu' pesante dell'album ma che da solo trascina tutta la prima parte della canzone, sul quale si aggrappa la voce, non indovinatissima questa volta purtroppo. Per fortuna a meta' il brano cambia completamente, con un bel giro di chitarra che va il loop, l'altra chitarra ad arpeggiare in liberta', batteria e percussioni. Questa seconda parte del brano salva da sola tutta la seconda parte del disco, che gia' di per se' non e' malaccio. Il finale riprende il bel pesante riff iniziale che conclude cosi' una grande canzone. Dab Nekan, traccia breve e strumentale (se si esclude un leggero coro), e' interamente trascinata dal basso, con le due chitarre ad intercedere e a creare momenti piu' tesi o piu' rilassati. Un brano godibile, dall'umore cangiante ma sempre molto sostenuto e inquieto. Last of Many, l'ultima traccia, la piu' lunga, ha un inizio carino ma non bellissimo, con la solita chitarra che ci va giu' pesante e le voce appresso, non molto originale ma pur sempre orecchiabile; dopodiche' diventa interessantissima verso la meta', quando tutti improvvisamente tacciono e parte un grandissimo giro di chitarra decadente, romantico, malinconico, e un pianoforte fa per la prima volta capolino a rendere l'aria ancora piu' pregna. Per un attimo si sentono anche le voci dei due cantanti trascinate anch'esse nella tristezza generale, finche' la canzone volge a conclusione piu' decadente che mai. Un album bello, vario, pur necessitante di un po' di ascolti per poter essere apprezzato, che tenta di unire la tradizione classica, King Crimson in primis, con sonorita' moderne, dark wave e post-rock soprattutto.