venerdì 6 aprile 2012

I Treni all'Alba - 2011 A.D. (2011)

La musica, come la letteratura, la pittura, l'arte in generale, e' fortemente influenzata dalla realta' presente; le sue espressioni sono spesso conseguenza del periodo storico in cui si colloca e dei cambiamenti sociali e tecnologici ad esso relativi. Ogni artista e' figlio del suo tempo insomma. Il rock progressivo non fa eccezione, e in questi anni 0 e post 0 ha assunto forme nuove ed imprevedibili. Dal post-hard dei Black Bonzo al post-rock dei Carpet Knights, fino al post-folk degli italiani I Treni all'Alba (di questi tempi tutto e' post). E dovremmo andarne fieri della loro italianita'. Questi ragazzi sono musicisti davvero dotati e talentuosi, che sono riusciti a portare a compimento un linguaggio musicale nuovo, e saranno probabilmente considerati dei pionieri dai posteri. Insomma, il post-prog non esiste ancora ma si sta delineando. I Treni all'Alba partono dal folk, ma e' solo un punto di partenza, per approdare in terreni post-rock che spesso cedono alla melodia, senza disdegnare qualche episodio piu' elettrico o jazzato. Si' perche' i quattro torinesi altro non suonano che post-rock acustico, ed e' questa la loro grande trovata. Se qualcuno si e' mai chiesto come sarebbe un disco post-rock, con i suoi movimenti liquidi e dilatati, suonato con strumenti acustici, I Treni all'Alba sono la risposta. Il gruppo si forma nel 2002 da alcuni musicisti di estrazione punk, ovvero i chitarristi Paolo Carlotto e Daniele Pierini, il pianista Sabino Pace ed il batterista Felice Sciscioli. Come si nota, manca il basso, e infatti non ce n'e' bisogno, visto che la loro musica consiste soprattutto di intrecci chitarristici, indiavolati ora celestiali dopo, vivaci, melodici, caldi, mediterranei, e mai scontati. Il disco vive quindi di questi duetti, arricchiti dalla batteria, mai aggressiva, ed interventi pianistici ai quali pero' non e' mai concesso alcun protagonismo. Rock strumentale dunque, che mantiene vivissima l'attenzione grazie a continui cambi di tempo e spunti su spunti, riff dopo riff, uno piu' indovinato e bello dell'altro. E sta parlando uno a cui non piacciono generalmente gli album strumentali, specialmente quelli guitar oriented. Dopo un primo album intitolato Folk Destroyers (2008), molto bello anche se troppo tendente al jazz in certi frangenti, la band stupisce tutti con questo 2011 A.D., disco riuscitissimo sotto ogni punto di vista. Impossibile ed inutile descrivere ogni singola traccia, viste le innumerevoli intuizioni che ciascuna contiene, ed anzi controproducente, dato che il disco e' un collage di pezzi dinamici e senza soluzione di continuita', che va ascoltato tutto d'un fiato, anche perche' non dura neanche 40 minuti. Devo pero' necessariamente fare menzione di brani come Attila, Il Demone, Tempi Moderni? o Streghe, di una bellezza disarmante. Che altro dire, il prog e' piu' vivo che mai, sempre piu' underground e di tale condizione compiaciuto, e gli italiani, crisi o non crisi, sono fra i suoi migliori artefici.