sabato 30 novembre 2013

La mia vita in America

Tempo fa sono stato invitato a scrivere un racconto sulla mia avventura americana, racconto che avrebbe dovuto far parte di una raccolta di narrazioni di giovani lucani che sono partiti e hanno deciso di vivere all'estero. Libro che alla fine non ha trovato editore e non sara' probabilmente mai pubblicato, pero' io il racconto l'ho scritto ed ora lo pubblico qui.

Il mio nome e' bob (non e' il mio vero nome ovviamente, ndb), sono originario di Matera, ho 31 anni e sono un ingegnere del software. Vivo a Kansas City, negli Stati Uniti, da quattro anni.
La scelta di lasciare il mio Paese non e' stata particolarmente sofferta. Ho sempre desiderato fare un'esperienza all'estero fin da quando ero alle superiori, ho sempre pensato che prima o poi sarei andato a vedere come si vive all'estero. Ho avuto la possibilita' di viaggiare molto in Europa e il fatto di trovarmi fuori dai confini nazionali, di essere a contatto con una cultura diversa, di udire la gente parlare una lingua diversa dalla mia mi dava un senso di eccitazione e di benessere.
Il particolare momento storico che sta attraversando il nostro Paese ha dato ulteriore forza al mio desiderio. Ho colto la prima occasione che mi si e' presentata, ho interrotto i contratti di affitto e di lavoro e su due piedi ho fatto le valigie e sono andato via.
Nel gennaio 2009 ho incontrato una ragazza straniera che studiava a Milano, la citta' in cui lavoravo. Abbiamo cominciato a vederci con frequenza e fra noi e' nato qualcosa. Poi lei e' tornata nel suo Paese di origine, gli States. Abbiamo continuato a sentirci con frequenza finche' ci siamo accorti di amarci a vicenda, cosi' decidemmo di voler vivere insieme a Milano, dove lei mi avrebbe raggiunto. Ma decisivo e' stato il viaggio che nel maggio 2009 ho compiuto negli States. Sono rimasto folgorato dall'efficienza di un Paese come l'America, dalla gentilezza e civilta' della gente, dalla multiculturalita' e dalla tolleranza (tutti aspetti ovviamente migliorabili e controbilanciati da altrettanti lati negativi, non sto facendo un'apologia degli Stati Uniti). Una rapida occhiata agli affitti delle case e agli stipendi dei programmatori mi convinse definitivamente.
Il paragone non regge: vivevo a Milano con un affitto altissimo per un monolocale minuscolo che dividevo con un coinquilino, la mia professione era catalogata come metalmeccanico, il mio stipendio proporzionale a tale classificazione, il mio contratto veniva rinnovato di sei mesi in sei mesi. Non mi si fraintenda, non sono partito per poter guadagnare piu' soldi (obiettivo comunque legittimo), sono partito per poter avere un progetto di vita. In Italia a malapena sopravvivevo. Poi, il clima politico mi disgustava e le storture che affliggono la nostra societa' e cultura mi erano ogni giorno piu' indigeste. Ho avuto la possibilita' di lavorare per grosse societa', Banca Mediolanum ed Intesa S.Paolo in primis, senza che la mia professionalita' sia mai stata riconosciuta, premiata o valorizzata. Ho avuto modo di assistere al sistema clientelare che caratterizza molte aziende italiane: un esercito di raccomandati popola i piani alti di queste aziende, persone dalla scarsa competenza e voglia di lavorare. Ma questo non mi dava fastidio piu' di tanto, anzi mi stimolava, cio' che non sopportavo era il fatto di non avere voce in capitolo. Una volta sono stato letteralmente zittito da un dirigente quando ho provato ad esprimere la mia opinione su un aspetto tecnico. Secondo lui ero troppo giovane per poter avere delle idee considerabili e mi apostrofo' con la seguente espressione: “Cosa ne sai tu, non siamo alla scuola superiore”. Avevo 25 anni, una laurea, due certificati, e un anno di esperienza alle spalle. L'Italia non e' un paese per giovani ambiziosi.
I primi due anni passati da immigrato sono stati un'esperienza unica e durissima. Ho decisamente sottovalutato le difficolta' che avrei dovuto affrontare e sopravvalutato le mie capacita'. Il piu' grande ostacolo e ' stata la lingua: sapevo parlare e leggere l'inglese, ma capirlo e poter comunicare efficientemente erano un'altra faccenda. Poi, mi sono scontrato con la montagna di burocrazia necessaria ad ottenere un permesso di soggiorno, l'esosita' del sistema burocratico americano, dove niente e' gratuito, e l'assenza di tutela per coloro che non sono “ancora” americani, ma di fatto stranieri. Senza il corrispondente del codice fiscale in pratica non esisti, non si puo' ottenere un lavoro, andare a scuola, conseguire la patente di guida, ecc. Ma per ottenere il codice bisogna essere residenti permanenti, e per poter essere residenti bisogna pagare, e molto. Inoltre il processo impiega diversi mesi di durata, 10-12 mediamente. Sono stato aiutato economicamente (per quel che potevano) e moralmente dai miei genitori e dalla mia fidanzata, che mi ha ospitato ed aiutato con la lingua. Ma ho anche dovuto reinventarmi un lavoro piu' volte, arrangiarmi a dover camminare per ore, anche quando fuori c'erano -15 gradi, vivere nei ghetti di periferia, e rinunciare a qualunque cosa non fosse strettamente necessaria. Prendevo tutto cio' che mi capitava e che non richiedeva contratti e competenze particolari, come aiutare nei traslochi, spalare la neve, fare il baby-sitter o il dog-sitter. Ho impartito privatamente lezioni di italiano, matematica ed informatica, ho costruito siti web per privati per due soldi facendomi pagare in contanti. Cercai anche di lavorare in nero come cameriere, cuoco, o qualunque altra cosa; inutilmente, il lavoro nero sembra essere quasi assente in America. I soldi pero' non bastavano mai, in alcuni periodi riuscivo a malapena a comprare da mangiare, ho vissuto momenti di profondo sconforto, quando sentivo di aver fatto la scelta sbagliata ed essermi cosi' rovinato la vita per sempre. Non potevo neanche ammettere la sconfitta e fare ritorno in Italia, non avevo denaro sufficiente. Ed anche se lo avessi avuto, il fatto di tornare in patria e ricominciare la trafila della ricerca del lavoro, i colloqui umilianti, gli stage non pagati, i corsi inutili, semplicemente mi terrorizzava.
Infine nel settembre 2010, ad un anno dal mio arrivo, il tanto ambito permesso di soggiorno arrivo' e con esso il codice fiscale. Ero pronto per cercarmi un lavoro nel mio campo. Ma di li' a poco un giovane imprenditore, che gestiva un coffee shop vicino casa mia, mi volle con se' nel suo progetto. Lo avevo conosciuto quando aveva appena aperto il suddetto coffee shop, e avevo sviluppato per lui un negozio on-line per vendere i suoi prodotti. Il nostro incontro e' stato uno degli eventi chiave della mia avventura americana, non ho mai conosciuto una mente cosi' brillante e prospera di idee, ma completamente fuori controllo. La sua frequentazione mi ha fatto capire molte cose della cultura e della mentalita' americana. Egli aveva avuto un'idea geniale: creare in laboratorio piante simili alla marijuana, con principi attivi dagli stessi effetti ma non vietati dalla legge, dei nuovi ibridi egualmente potenti ma legali, anzi, sconosciuti alle istituzioni. Aveva messo su una squadra di biotecnologi, tutti ancora studenti e tutti piu' giovani di lui (abbiamo la stessa eta') e realizzato il suo progetto, dimostrando un senso degli affari e del pratico fuori dalla normalita'. Stava facendo soldi a palate, dell'ordine di migliaia di dollari al giorno, aveva persino subito due rapine. Ora era arrivato il momento di far fruttare quei soldi. Mi investi' del ruolo di Operational Manager e mi affido' il compito di aprire un ristorante sudamericano, lo chiamammo Amor Picante. Lo stipendio non era granche', ma se avessimo avuto successo saremmo diventati ricchi, mi promise. Il progetto parti', e il ristorante e' stato aperto nel gennaio 2011. Le cose stavano andando bene, iniziammo ad avere un numero sempre crescente di clienti. Un giorno pero' la polizia sequestro' tutto il materiale dal coffee shop, compreso l'incasso del giorno, e il comune fece causa al giovane imprenditore per vendita di prodotti tossici. Causa non dimostrabile in quanto gli effetti sono tutt'ora sconosciuti e ci vorrebbero anni di sperimentazione per dimostrare qualunque cosa, pero' di fatto il mio partner aveva impiegato tutti i suoi soldi in avvocati e cauzioni e la sua attivita' principale messa fuori legge, esclusivamente per la gelosia delle autorita' locali, le quali non sopportavano questa sorta di libero pensatore, sfacciato e provocatore, che si faceva beffe di loro, della legge e della salute delle persone (che comunque decidevano liberamente di immettere delle sostanze sconosciute nel proprio organismo). Per fortuna io figuravo come semplice dipendente e non ho avuto conseguenze penali, se non il fatto che ero nuovamente disoccupato e il progetto in cui avevo creduto completamente naufragato. Nel frattempo pero' il mio inglese era decisamente migliorato e non ebbi difficolta' nel trovarmi un lavoro. Sono partito nuovamente dalla gavetta, ho fatto il tester per sei mesi per un'azienda di telefonia, ed infine sono stato assunto dalla piu' grossa azienda di software irlandese, che opera su scala internazionale, Openet.
Oggi lavoro a migliorare le piu' avanzate tecnologie di comunicazione del mondo, partecipo a tutte le riunioni di azienda, la mia opinione non e' solo considerata, ma richiesta. Sono riconosciuto come ingegnere, pagato profumatamente, investito di numerose responsabilita' ma anche di riconoscimenti. La scorsa estate sono stato mandato a Dublino per un mese, a lavorare gomito a gomito con gli ingegneri principali, i quali avevano personalmente richiesto la mia assistenza. Mi sento apprezzato, protetto, utile, sento di avere un futuro, di poter comprare una casa e costruire una famiglia. Questo in Italia oggigiorno non sarebbe possibile, per questo credo che non faro' mai piu' ritorno in patria, se non come turista.
Mentirei se dicessi che l'Italia non mi manca, mi mancano la mia famiglia e gli amici, mi manca la cucina, mi manca il mare, mi manca il calore della gente e la socialita' che ci contraddistingue. La societa' americana e' estremamente individualista, e questo si rispecchia nei rapporti fra le persone, le quali passano molto piu' tempo da sole, in casa, e tendono a mantenere le relazioni inter-personali su un livello piu' tiepido, distaccato. Non raramente mi sento solo, mi manca la compagnia.
Pero' gli Stati Uniti riescono dove l'Italia sta miseramente fallendo: valorizzare le giovani menti volenterose ed intelligenti, grazie ad una politica orientata ai giovani ed al lavoro. Gli americani hanno una forte etica del lavoro ed e' incredibile come le persone si trasformino completamente quando sono sul posto di lavoro. Ho riscontrato una serieta' ed un senso di responsabilita' che nel mio Paese, mi piange il cuore a dirlo, non ho mai visto. Inoltre sono estremamente rispettosi delle regole, e questo anche cozza con la tipica mentalita' italiana. La nostra furbizia, la nostra tendenza al raggiro, il nostro violare sistematicamente le regole quando cio' puo' portare dei vantaggi, in pratica lo scarso rispetto del prossimo, sono le tristi cause del declino del nostro Paese.

giovedì 21 novembre 2013

Il Bacio della Medusa - Deus lo Vult (2012)

Il Bacio Della Medusa e' una band di Perugia al suo terzo album e con 10 anni di carriera alle spalle. Dediti ad un eccellente prog di stampo italiano, tinto di hard e folk come da tradizione, raggiungono la piena maturita' con questo album dopo un esordio incoraggiante ed un ottimo secondo album. Si tratta di un concept che narra le vicende di Simplicio, signorotto medievale che decide di prendere parte alle crociate confidando di trovare fama e ricchezza, ma che invece trova solo guai che continuano anche al suo ritorno, cambiandogli di fatto la vita. I testi sono uno dei motivi per cui si dovrebbe ascoltare questo lavoro, per l'enfasi, l'espressivita' e l'intensita' delle liriche, scritte e perfettamente interpretate da un grandissino cantante, in grado di essere estremamente versatile, passionale e teatrale; un cantante che non teme paragoni con mostri sacri dallo stile simile, come Claudio Canali e Francesco Di Giacomo. La musica e' anche ispirata e riuscita, si lega alla perfezione con i testi ed offre un ampio spettro timbrico, grazie a fiati, mellotron ed arpe che si vanno ad unire agli strumenti classici. E' un album breve, appena 33 minuti che concentrano tutti gli infiniti spunti che una band in stato di grazia puo' mostrare, e che letteralmente esplodono durante tutta la durata del disco, disco mutevole, vario, raffinato e coinvolgente. A me personalmente piace da matti. I Bacio Della Medusa sono Simone Cecchini alla voce, chitarra acustica ed arpa, Diego Petrini a batteria, percussioni, mellotron ed organo, costui e' anche il compositore delle musiche, Federico Caprai al basso, Simone Brozzetti alla chitarra ed Eva Morelli ai fiati. L'album si apre con un breve pezzo, Invocazione alle Muse, che funge da intro per la narrazione, trascinato da chitarra classica e flauto, delicato e sinfonico. La musica prosegue senza soluzione di continuita' con Indignatio - Infedeli in Terra Santa, seguendo gli stessi dettami inizialmente, quindi flauto e corde classiche, ma incattivendosi dopo un paio di minuti, con l'ingresso della chitarra elettrica e del sax, che deviano il discorso verso temi piu' hard. Si assiste alla prima maiuscola prova vocale, ora che il livello di difficolta' e' salito, con Simone in grande spolvero, e grandissime prestazioni dalla chitarra e dalle tastiere. Conclusione affidata ad intrecci chitarra-sax, sempre pesanti e duri, si lambisce il metal in certi frangenti, che ci portano cosi' alla terza traccia Urbano II Bandisce la Prima Crociata. Questa canzone e' un altro breve pezzo (3 minuti) e cambia ancora drasticamente le carte in tavola: si tratta di una traccia per flauto, mellotron ed una batteria molto marziale, con il raggiunto obiettivo di ri-creare l'atmosfera solenne e festosa che si era venuta a creare quel giorno di 1000 anni fa. Simplicio, la quarta traccia, e' ancora aperta dal flauto, ma stavolta l'aria e' sognante, delicata, quasi bucolica, e la voce presto incalza a rinforzare questa sensazione. Canzone emozionante, forte, colpisce di nuovo la bravura indiscussa del cantante, che presto si lascia andare al lirismo ed alla passione, accompagnato da una chitarra elettrica che ci fa riscoprire il lato piu' classico e tradizionale del prog italiano. Arriviamo cosi' alla title track, che in latino maccheronico (vado a memoria, ma non ricordo "lo" essere una porola in latino) signica "Lo vuole dio", ed esplode immediatamente di chitarra, batteria e sax, che ora diventano davvero metal, e di voce, ora vicinissima a quella di Ian Gillam. Canzone stupenda, forse la piu' bella anche se risulta davvero difficile sceglierne una per la varieta' di stili che la band padroneggia, a meta' strada fra prog-metal, hard e prog sinfonico, con ben tre soli di chitarra, sax e flauti potenti ed aggressivi, dura "appena" 7 minuti ad altissima intensita' e pathos. Un altro breve pezzo, Verso Casa, ci accompagna verso l'ultima traccia ed e' un motivo stupendo, con voce e flauto protagonisti ma atmosfera un attimo piu' allegra e rilassata, quasi pop, con Simone che "fa parlare" due diversi personaggi, cioe' Simplicio, che sta adesso tornando a casa, e sua moglie, la quale lo sta quindi aspettando (questo secondo Simplicio). Se si volessero riassumere le doti vocali del cantante questa canzone farebbe al caso nostro, tante sono le diverse situazioni stilistiche qui rappresentate ed alle quali Simone sa perfettamente adattarsi, ascoltare per credere. La canzone successiva giunge senza che l'ascoltatore se ne accorga, in quanto e' continuazione naturale della precedente, e continua sulla stessa falsariga: Simplicio e' tornato a casa dove lo attende una spiacevole sorpresa, infatti sorprende sua moglie a letto con il prete e l'intera scena e' descritta minuziosamente nelle liriche, che non temono particolari scabrosi. Simplicio quindi si ritrova tradito dalle istituzioni in ogni aspetto, traetene gli insegnamenti che volete. Musicalmente parlando, questa traccia e' piu' tragica e rabbiosa, con tutti gli strumenti che contribuiscono a rendere l'atmosfera incandescente ed intensa, mentre la conclusione e' affidata ai soliti duetti chitarra-flauto, che chiudono magnificamente l'album. In generale, questo lavoro e' piu' duro e potente del precedente e la musica segue e si adatta perfettamente al filo della narrazione, cio' che ne risulta e' magnifico. La band e' in grande spolvero e profonde passione ed energia per creare un lavoro denso e concentrato per un'unesperienza musicale il piu' breve ed intensa possibile. Il sottoscritto apprezza infinitamente lo sforzo. Non c'e' neanche un secondo di noia, tutto l'album pulsa di vita e si dimena come un forsennato. Ci sono sicuramente passaggi bellissimi anche nei due album precedenti, ma Deus e' molto piu' equilibrato, rifinito e conciso. Ogni elemento e' ottimamente bilanciato, l'heavy, il rock, ballate epiche e pastorali, musica medievale, prog-metal e melodrammi.

martedì 12 novembre 2013

Diagonal - The Second Mechanism (2012)

I Diagonal sono una band di Brighton e questo e' il loro secondo album. Stupisce di questi ragazzi la giovanissima eta', infatti il loro debutto e' stato pubblicato quando non erano ancora ventenni e questo secondo album, gia' parecchio maturo, arriva quando nessuno ha ancora superato il quarto di secolo. E ad ascoltare la loro musica sembra che di esperienza ne abbiano a pacchi, tante sono le influenze che riescono a combinare in uno stile che risulta alla fine parecchio originale. King Crimson e Van Der Graaf Generator di sicuro, e tutto quel lato piu' dark del progressive, unito al jazz e ad una componente elettronica dal piglio moderno, che sfocia in territori proto-dance. Passato piu' presente quindi, strumenti classici e sintetizzatori, volti a creare un suono che non prevede strumenti conduttori, quanto piuttosto punta ad un amalgama corposo e denso. A questo proposito vorrei aprire una parentesi: qualche settimane fa ero in un pub e c'era una band che stava per suonare: bassista, batterista, violinista ed un tizio che si alternava fra chitarra e tastiere, niente voce. Quando cominciano sono piacevomente sorpreso dalla loro proposta, uno Zehul tirato ed aggressivo, con violino, chitarra e tastiere a dirigere e sezione ritmica a creare un muro di suono sottostante. Uno spettacolo. A fine concerto ci ho fatto amicizia e sono anche andato a vederli registrare il primo singolo. Si chiamano Jorge Arana Trio, sono di Kansas City e hanno fra i 20 ed i 30 anni. La loro eta' e' cio' che piu' mi ha colpito di loro, ed il fatto che nessuno di loro faccia il musicista di professione, sono d'altronde ben consapevoli di non avere nessun appeal commerciale. Loro suonano per il piacere di suonare, suonano la musica che piu' gradiscono e poco importa se pochi riescono ad apprezzare. E sono pieni di talento nonche' impeccabili esecutori mostri di tecnica, che potrebbero davvero campare di musica volendo. Questa dedizione, questa fede incondizionata in un genere che gode di tanti estimatori ma zero successo commerciale e' a dir poco commovente. E mi immagino i Diagonal esattamente nella stessa situazione. Tornando ai nostri musicisti inglesi, la band comincia in 7 nel 2008 e da' alle stampe l'omonimo esordio nello stesso anno, ancora un po' troppo ancorato a certa psichedelia di fine '60. La riduzione di due elementi dell'organico causa una maggiore attenzione rivolta alla melodia, che scaturisce da atmosfere ora piu' oscure, grazie al lavoro dei sintetizzatori, dei fiati e della chitarra, mentre il basso detta solitamente il ritmo con loop spesso spettacolari ed ispirati, la batteria difficilmente si lascia andare ma quando lo fa il ritmo che ne esce e' irresistibile. I Diagonal sono Luke Foster a batteria, percussioni e piano, Ross Hossack al synth ed harmonium, Nicholas Richards al basso, al mellotron ed al synth, Nicholas Whittaker, cantante, suona anche sax e clarinetto, infine David Wileman e' il chitarrista. Voyage/Paralisis, che apre il disco, comincia subito con l'amalgama di cui si e' parlato, una marmellata di bassi pulsanti, sintetizzatori gracchianti, chitarre spacey e fiati a reggere il gioco. Ritmo sostenuto, atmosfera oscura e tesa, vari cambiamenti di ritmo assecondati da ottimi spunti, una prima traccia che spiazza immediatamente. These Yellow Sands comincia piu' tranquilla, piu' atmosferica, ma vira rapidamente verso suoni piu' abrasivi ed aggressivi, con una chitarra incandescente e fiati imbizzarriti principali protagonisti. Brano cangiante che non cala di tono neanche per un secondo. Mitochondria comincia che piu' cupa e minacciosa non si puo', si sente che qualcosa di terribile incombe, e infatti batteria e basso presto incalzano con un groove da capogiro, ma non c'e' tempo per riprendere fiato perche' il brano cambia nuovamente e comincia ad attorcigliarsi su se stesso. Solo ascoltandolo si puo' capire, anche perche' la traccia e' tutt'altro che finita, l'alternanza di groove irresistibili, uno piu' bello dell'altro, e' disarmante. Si arriva cosi' ad Hulks, il brano piu' lungo e probabilmente anche il piu' bello. Descriverlo sarebbe inutile, troppo sfaccettato e vario per poter essere ridotto in parole. Capsizing continua con atmosfere tetre e spaziali inizialmente, ma ben presto diventa quasi danzereccia, continua a svilupparsi per tutta la sua lunghezza fino a riproporre uno dei temi portanti per il finale della canzone e del disco. Questi ragazzi hanno talento da vendere, la loro proposta e' sincera, il loro sound originale e concreto. Il prog e' piu' che mai vivo nei cuori dei suoi fan.