I King Crimson sono precursori, in ogni epoca e con ogni disco. Quando nel 1984 uscì questo album non fu compreso da nessuno, neanche dagli addetti ai lavori: troppo strano, troppo rumoristico, troppo sperimentale. Invece Fripp e soci avevano già capito la nuova direzione che stava prendendo la musica: il rock si stava fondendo con l'elettronica, stava nascendo l'industrial, e questo album ne anticipa gli umori. Come un ponte fra due epoche, il lavoro in questione è diviso in due parti nettamente separate: quattro tracce orecchiabili, melodiche, progressive, e cinque tracce sperimentali, estreme, cervellotiche, di difficilissima assimilazione. Val la pena di ascoltare solo per verificare quanto i King Crimson si possano spingere oltre, quanto lontano possa arrivare la visionarietà di Robert, quanto coraggiosa sia la band in questione. La line-up è la stessa dei due album precedenti, ovvero Robert Fripp alla chitarra, Adrian Belew a chitarra e voce, Tony Levin al basso ed al synth, Bill Bruford alla batteria. Il disco comincia proprio con la title-track, pezzo fra il pop e l'avanguardia, molto orecchiabile nonostante le poliritmie, è forse il pezzo migliore dell'album: Adrian e Tony cantano all'unisono, le chitarre si intrecciano disegnando la melodia, la sezione ritmica è sempre impeccabile. Model Man segue ancora la tendenza pop descritta precedentemente, anche se naturalmente di pop non si tratta, è un pop rivisitato da questo immenso gruppo, è l'idea che i Crimson hanno del pop: le chitarre e il basso dominano questa canzone, molto calma e molto bella. Si prosegue con Sleepless, introdotta da un riff di basso e canzone un po' più complicata ma comunque accessibile, fra caos e disciplina. A man with an open heart è ancora più orecchiabile, il ritornello è poppeggiante e bellissimo e mai uguale a se stesso. La quantità di variazioni sullo stesso tema che questa band è in grado di escogitare è sconvolgente, un profano non si accorgerebbe di nulla, invece dietro una canzone apparentemente semplice c'è tutto un mondo. A questo punto il registro cambia radicalmente: Nuages è una sorta di breve intro alla seconda parte: scura, sintetica, drammatica, liquida, e così si continuerà fino alla fine, ad esclusione dell'ultima traccia che è un filino più allegra. Industry è il manifesto dei nuovi King Crimson sperimentali, e il fatto che il genere industrial porti il titolo di questa canzone è una coincidenza (coincidenza?) incredibile. 7 minuti di trance composta da chitarre rarefatte e cariche di effetto, il morale è sottoterra, Tony picchia sul basso e lo stesso fa Bill, ritmi irregolari e rumori di macchinari completano l'opera. Se un giorno i robot saranno così evoluti da ascoltare musica, ascolteranno sicuramente qualcosa di molto simile. Dig me prosegue sulla stessa falsariga: chitarre schizofreniche, completa assenza di melodia, percussioni atipiche, fino al ritornello che spezza tutto e si fa incredibilmente melodico. Senza parole. No warning è un altro breve pezzo a metà fra progressive e noise ed introduce Larks' tongues in Aspic part III, le prime due parti sono sull'album omonimo del 1973: traccia cerebrale e cangiante, fra echi del vecchio sound e suoni moderni, veloce ed intricata. Degna conclusione di un album, ancora una volta, particolare, estremo, scioccante. I musicisti moderni sono in grado di stupire solo con qualche nuovo look o atteggiamenti sfrontati, al limite del grottesco; poche band hanno saputo rivoluzionare il mondo musicale come i King Crimson; hanno saputo calarsi in ogni epoca intuendone le direzioni musicali e proponendo sempre qualcosa di nuovo, fresco, genuino.
lunedì 6 luglio 2009
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