Tempo fa sono stato invitato a scrivere un racconto sulla mia avventura americana, racconto che avrebbe dovuto far parte di una raccolta di narrazioni di giovani lucani che sono partiti e hanno deciso di vivere all'estero. Libro che alla fine non ha trovato editore e non sara' probabilmente mai pubblicato, pero' io il racconto l'ho scritto ed ora lo pubblico qui.
Il mio nome e' bob (non e' il mio vero nome ovviamente, ndb),
sono originario di Matera, ho 31 anni e sono un ingegnere del
software. Vivo a Kansas City, negli Stati Uniti, da quattro anni.
La scelta di lasciare
il mio Paese non e' stata particolarmente sofferta. Ho sempre
desiderato fare un'esperienza all'estero fin da quando ero alle
superiori, ho sempre pensato che prima o poi sarei andato a vedere
come si vive all'estero. Ho avuto la possibilita' di viaggiare molto
in Europa e il fatto di trovarmi fuori dai confini nazionali, di
essere a contatto con una cultura diversa, di udire la gente parlare
una lingua diversa dalla mia mi dava un senso di eccitazione e di
benessere.
Il particolare momento
storico che sta attraversando il nostro Paese ha dato ulteriore forza
al mio desiderio. Ho colto la prima occasione che mi si e'
presentata, ho interrotto i contratti di affitto e di lavoro e su due
piedi ho fatto le valigie e sono andato via.
Nel gennaio 2009 ho
incontrato una ragazza straniera che studiava a Milano, la citta' in
cui lavoravo. Abbiamo cominciato a vederci con frequenza e fra noi e'
nato qualcosa. Poi lei e' tornata nel suo Paese di origine, gli
States. Abbiamo continuato a sentirci con frequenza finche' ci siamo
accorti di amarci a vicenda, cosi' decidemmo di voler vivere insieme
a Milano, dove lei mi avrebbe raggiunto. Ma decisivo e' stato il
viaggio che nel maggio 2009 ho compiuto negli States. Sono rimasto
folgorato dall'efficienza di un Paese come l'America, dalla
gentilezza e civilta' della gente, dalla multiculturalita' e dalla
tolleranza (tutti aspetti ovviamente migliorabili e controbilanciati
da altrettanti lati negativi, non sto facendo un'apologia degli Stati
Uniti). Una rapida occhiata agli affitti delle case e agli stipendi
dei programmatori mi convinse definitivamente.
Il paragone non regge:
vivevo a Milano con un affitto altissimo per un monolocale minuscolo
che dividevo con un coinquilino, la mia professione era catalogata
come metalmeccanico, il mio stipendio proporzionale a tale
classificazione, il mio contratto veniva rinnovato di sei mesi in sei
mesi. Non mi si fraintenda, non sono partito per poter guadagnare
piu' soldi (obiettivo comunque legittimo), sono partito per poter
avere un progetto di vita. In Italia a malapena sopravvivevo. Poi, il
clima politico mi disgustava e le storture che affliggono la nostra
societa' e cultura mi erano ogni giorno piu' indigeste. Ho avuto la
possibilita' di lavorare per grosse societa', Banca Mediolanum ed
Intesa S.Paolo in primis, senza che la mia professionalita' sia mai
stata riconosciuta, premiata o valorizzata. Ho avuto modo di
assistere al sistema clientelare che caratterizza molte aziende
italiane: un esercito di raccomandati popola i piani alti di queste
aziende, persone dalla scarsa competenza e voglia di lavorare. Ma questo
non mi dava fastidio piu' di tanto, anzi mi stimolava, cio' che non
sopportavo era il fatto di non avere voce in capitolo. Una volta sono
stato letteralmente zittito da un dirigente quando ho provato ad
esprimere la mia opinione su un aspetto tecnico. Secondo lui ero
troppo giovane per poter avere delle idee considerabili e mi
apostrofo' con la seguente espressione: “Cosa ne sai tu, non siamo
alla scuola superiore”. Avevo 25 anni, una laurea, due certificati,
e un anno di esperienza alle spalle. L'Italia non e' un paese per
giovani ambiziosi.
I primi due anni
passati da immigrato sono stati un'esperienza unica e durissima. Ho
decisamente sottovalutato le difficolta' che avrei dovuto affrontare
e sopravvalutato le mie capacita'. Il piu' grande ostacolo e ' stata
la lingua: sapevo parlare e leggere l'inglese, ma capirlo e poter
comunicare efficientemente erano un'altra faccenda. Poi, mi sono
scontrato con la montagna di burocrazia necessaria ad ottenere un
permesso di soggiorno, l'esosita' del sistema burocratico americano,
dove niente e' gratuito, e l'assenza di tutela per coloro che non
sono “ancora” americani, ma di fatto stranieri. Senza il
corrispondente del codice fiscale in pratica non esisti, non si puo'
ottenere un lavoro, andare a scuola, conseguire la patente di guida,
ecc. Ma per ottenere il codice bisogna essere residenti permanenti, e
per poter essere residenti bisogna pagare, e molto. Inoltre il
processo impiega diversi mesi di durata, 10-12 mediamente. Sono
stato aiutato economicamente (per quel che potevano) e moralmente dai
miei genitori e dalla mia fidanzata, che mi ha ospitato ed aiutato
con la lingua. Ma ho anche dovuto reinventarmi un lavoro piu' volte,
arrangiarmi a dover camminare per ore, anche quando fuori c'erano -15
gradi, vivere nei ghetti di periferia, e rinunciare a qualunque cosa
non fosse strettamente necessaria. Prendevo tutto cio' che mi
capitava e che non richiedeva contratti e competenze particolari, come aiutare
nei traslochi, spalare la neve, fare il baby-sitter o il dog-sitter.
Ho impartito privatamente lezioni di italiano, matematica ed
informatica, ho costruito siti web per privati per due soldi
facendomi pagare in contanti. Cercai anche di lavorare in nero come
cameriere, cuoco, o qualunque altra cosa; inutilmente, il lavoro nero
sembra essere quasi assente in America. I soldi pero' non bastavano
mai, in alcuni periodi riuscivo a malapena a comprare da mangiare, ho
vissuto momenti di profondo sconforto, quando sentivo di aver fatto
la scelta sbagliata ed essermi cosi' rovinato la vita per sempre. Non
potevo neanche ammettere la sconfitta e fare ritorno in Italia, non
avevo denaro sufficiente. Ed anche se lo avessi avuto, il fatto di
tornare in patria e ricominciare la trafila della ricerca del lavoro,
i colloqui umilianti, gli stage non pagati, i corsi inutili,
semplicemente mi terrorizzava.
Infine nel settembre
2010, ad un anno dal mio arrivo, il tanto ambito permesso di
soggiorno arrivo' e con esso il codice fiscale. Ero pronto per
cercarmi un lavoro nel mio campo. Ma di li' a poco un giovane
imprenditore, che gestiva un coffee shop vicino casa mia, mi volle
con se' nel suo progetto. Lo avevo conosciuto quando aveva appena
aperto il suddetto coffee shop, e avevo sviluppato per lui un negozio
on-line per vendere i suoi prodotti. Il nostro incontro e' stato uno
degli eventi chiave della mia avventura americana, non ho mai
conosciuto una mente cosi' brillante e prospera di idee, ma
completamente fuori controllo. La sua frequentazione mi ha fatto
capire molte cose della cultura e della mentalita' americana. Egli
aveva avuto un'idea geniale: creare in laboratorio piante simili alla
marijuana, con principi attivi dagli stessi effetti ma non vietati
dalla legge, dei nuovi ibridi egualmente potenti ma legali, anzi,
sconosciuti alle istituzioni. Aveva messo su una squadra di
biotecnologi, tutti ancora studenti e tutti piu' giovani di lui
(abbiamo la stessa eta') e realizzato il suo progetto, dimostrando un
senso degli affari e del pratico fuori dalla normalita'. Stava
facendo soldi a palate, dell'ordine di migliaia di dollari al giorno,
aveva persino subito due rapine. Ora era arrivato il momento di far
fruttare quei soldi. Mi investi' del ruolo di Operational Manager e
mi affido' il compito di aprire un ristorante sudamericano, lo
chiamammo Amor Picante. Lo stipendio non era granche', ma se avessimo
avuto successo saremmo diventati ricchi, mi promise. Il progetto
parti', e il ristorante e' stato aperto nel gennaio 2011. Le cose
stavano andando bene, iniziammo ad avere un numero sempre crescente
di clienti. Un giorno pero' la polizia sequestro' tutto il
materiale dal coffee shop, compreso l'incasso del giorno, e il comune
fece causa al giovane imprenditore per vendita di prodotti tossici.
Causa non dimostrabile in quanto gli effetti sono tutt'ora
sconosciuti e ci vorrebbero anni di sperimentazione per dimostrare
qualunque cosa, pero' di fatto il mio partner aveva impiegato tutti i
suoi soldi in avvocati e cauzioni e la sua attivita' principale messa
fuori legge, esclusivamente per la gelosia delle autorita' locali, le
quali non sopportavano questa sorta di libero pensatore, sfacciato e
provocatore, che si faceva beffe di loro, della legge e della salute
delle persone (che comunque decidevano liberamente di immettere delle
sostanze sconosciute nel proprio organismo). Per fortuna io figuravo
come semplice dipendente e non ho avuto conseguenze penali, se non il
fatto che ero nuovamente disoccupato e il progetto in cui avevo
creduto completamente naufragato. Nel frattempo pero' il mio inglese
era decisamente migliorato e non ebbi difficolta' nel trovarmi un
lavoro. Sono partito nuovamente dalla gavetta, ho fatto il tester per
sei mesi per un'azienda di telefonia, ed infine sono stato assunto
dalla piu' grossa azienda di software irlandese, che opera su scala
internazionale, Openet.
Oggi lavoro a
migliorare le piu' avanzate tecnologie di comunicazione del mondo,
partecipo a tutte le riunioni di azienda, la mia opinione non e' solo
considerata, ma richiesta. Sono riconosciuto come ingegnere, pagato
profumatamente, investito di numerose responsabilita' ma anche di
riconoscimenti. La scorsa estate sono stato mandato a Dublino per un
mese, a lavorare gomito a gomito con gli ingegneri principali, i
quali avevano personalmente richiesto la mia assistenza. Mi sento
apprezzato, protetto, utile, sento di avere un futuro, di poter
comprare una casa e costruire una famiglia. Questo in Italia
oggigiorno non sarebbe possibile, per questo credo che non faro' mai
piu' ritorno in patria, se non come turista.
Mentirei se dicessi che
l'Italia non mi manca, mi mancano la mia famiglia e gli amici, mi
manca la cucina, mi manca il mare, mi manca il calore della gente e
la socialita' che ci contraddistingue. La societa' americana e'
estremamente individualista, e questo si rispecchia nei rapporti fra
le persone, le quali passano molto piu' tempo da sole, in casa, e tendono a mantenere le relazioni inter-personali su un livello piu' tiepido, distaccato. Non
raramente mi sento solo, mi manca la compagnia.
Pero' gli Stati Uniti
riescono dove l'Italia sta miseramente fallendo: valorizzare le
giovani menti volenterose ed intelligenti, grazie ad una politica
orientata ai giovani ed al lavoro. Gli americani hanno una forte
etica del lavoro ed e' incredibile come le persone si trasformino
completamente quando sono sul posto di lavoro. Ho riscontrato una
serieta' ed un senso di responsabilita' che nel mio Paese, mi piange
il cuore a dirlo, non ho mai visto. Inoltre sono estremamente
rispettosi delle regole, e questo anche cozza con la tipica
mentalita' italiana. La nostra furbizia, la nostra tendenza al
raggiro, il nostro violare sistematicamente le regole quando cio'
puo' portare dei vantaggi, in pratica lo scarso rispetto del
prossimo, sono le tristi cause del declino del nostro Paese.
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