Uno dei motivi di maggior rimpianto del non essere vissuto negli anni '70 è stato l'essermi perso la rinascita dei King Crimson. Nessuno si sarebbe mai aspettato, dopo lo scioglimento del '75, di vederli nuovamente insieme 6 anni dopo e, soprattutto, con una proposta musicale uguale all'esordio per impatto ed originalità e quindi diversissima rispetto al vecchio sound. Chi ha ascoltato Discipline nel 1981 deve aver pensato quello che ha pensato chi ha ascoltato In the court of the Crimson King nel '69: cos'è sta roba? Nessun gruppo è riuscito ad emulare i primi King Crimson e nessuno è riuscito, e mai riuscirà, ad emulare quest'altro nuovo sound inventato da Fripp e compagni. Un prog avantguardistico, che unisce groove ritmici irresistibili a improvvisazioni free-jazz, che crea una struttura dal caos, che fa evolvere una base minimalista, è qualcosa di sconvolgente. La band, come il suono, è quasi completamente cambiata, Robert Fripp in questi anni ha pubblicato un album solista e preso parte a varie collaborazioni, da queste collaborazioni selezionerà i suoi nuovi compagni. Per la prima volta decide di avere un chitarrista "antagonista", che funge anche da singer e scrittore delle liriche, Adrian Belew, dotato di una tecnica non proprio ortodossa e formatosi con Frank Zappa. Proprio dal chitarrista americano (anche Adrian lo è) eredita il timbro originale e quel gusto per la goliardia. Conosce Robert Fripp quando quest'ultimo collabora al terzo album dei Talking Heads, in cui militava Adrian dopo aver suonato anche con David Bowie. Collaborando invece per il secondo e terzo disco di Peter Gabriel Robert conosce Tony Levin, anch'egli americano, che comparirà anche nell'esordio solista del chitarrista. Tony è un bassista unico, la sua tecnica è formidabile, difficile vedere un bassista così preparato, in grado di suonare un basso a 12 corde e il cui ruolo nell'economia del suono è sia ritmico che melodico. Completa la formazione a 4 (per ora) il batterista Bill Bruford, altro superstite dell'ultimo nucleo del Re. Una formazione del genere, guidata da un grande compositore e leader carismatico come Robert Fripp, non può che spaccare. L'album comincia con Elephant talk, ed è subito chiara la nuova direzione artistica che il gruppo ha intenzione d intraprendere: brano complicato, difficilissimo nell'esecuzione, ma lineare, quadrato, "disciplinato". Le evoluzioni delle due sei corde, che tenderebbero all'infinito, vengono "costrette" dalla sezione ritmica in uno schema, con Tony che fa da collante fra le due chitarre e Bill che colora il tutto con le sue percussioni a metà fra ritmi tribali e raffinatezze jazz. A tutto ciò si aggiunge la sregolatezza e il sinistro humour della band, con Adrian che fa barrire la sua chitarra ad imitazione del verso dell'elefante. E' difficile descrivere dettagliatamente le canzoni, sarebbe un lavoro troppo lungo e noioso da leggere, l'unica cosa da fare è ascoltare questo album, sempre sospeso fra atmosfere sinistre (Indiscipline), dolci melodie di altri tempi (Matte Kudasai), intrecci strumentali complessi (Frame by frame), improvvisazioni di chitarre trattate orientaleggianti su un tappeto onirico ipnotico (cosa sto dicendo?)(The sheltering sky), perfetti connubi ritmo-melodia (Thela Hun Ginjeet). Un album stupendo per una band che non smetterà mai di stupire, i King Crimson sono senza dubbio il gruppo di punta del prog nei secoli dei secoli. Fra le note di copertina si legge: la disciplina non è mai fine a se stessa ma solo un mezzo per raggiungere un fine. Che geni.
martedì 9 dicembre 2008
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