Secondo album per i brasiliani Angra, ancora più bello dell'album di esordio e punto più alto per quanto riguarda i loro lavori. In un perfetto mix di progressive sinfonico, power metal e folk sudamericano, Holy Land contiene sfuriate metal al fulmicotone, delicatissime ballate acustiche, assoli di chitarra, cambi improvvisi di ritmo, percussioni e vocalizzi straacutissimi. Fuori discussione il livello tecnico dei musicisti (gli stessi dell'esordio), dal punto di vista melodico e compositivo risulta essere uno degli album migliori nell'ambito prog metal, piacevole, trascinante, suggestivo, sperimentale, coinvolgente dal primo all'ultimo secondo, non conosce momenti di stanca, anzi, ciascuna canzone è un pezzo di bravura da cogliere in ogni particolare. Il lavoro è un concept basato sulle conquiste, quindi sugli efferati crimini compiuti, dagli europei in Brasile, il Brasile è infatti la terra sacra del titolo, anche se ciascun pezzo è una traccia a se stante. Si comincia con Crossing, breve intro che serve solo per aprire Nothing to say, canzone che definire stupenda non rende sufficientemente l'idea. Prog metal di altissima caratura, arrangiamenti orchestrali curati, ritornello orecchiabile: questi gli ingredienti per un pezzo di apertura che sconvolge. Dopodiché è la volta di una malinconica (come suggerisce il titolo) ballata: Silence and distance comincia con Andre che canta accompagnato dal piano, suonato da lui stesso, poi cresce e si indurisce con le chitarre e gli arrangiamenti pomposi, sfocia in un ritornello stupendo e si chiude come aveva aperto. La quarta traccia è una delle più belle canzoni mai composte, non solo in ambito metal o progressivo: Carolina IV è una breve suite di 10 minuti e mezzo che mostra tutti i generi che il gruppo carioca è in grado di abbracciare: percussioni folk, prog rock, cavalcate speed, pianoforte, tappeti di doppia cassa; pezzo indescrivibile, coinvolgente e anche abbastanza easy listening. Si prosegue con la title track e qui si possono sprecare infinite parole, ma dirò solo che è probabilmente la miglior canzone mai scritta dal gruppo brasiliano; delicata, sognante, maestosa, tribale e mai aggressiva. La sesta traccia è The shaman, episodio che più si avvicina al pop per la semplicità della struttura, altra canzone molto bella e folkloristica. La successiva è Make believe, più riflessiva e complicata, seppur sempre orecchiabile e melodica. Fin'ora le canzoni non si sono mai allontanate troppo dal piglio prog del disco, ma con Z.I.T.O. si giunge in terreni metallici molto più spinti; pezzo rapido, aggressivo ed orecchiabile, ai metallari piacerà moltissimo. Si arriva così alla seconda ed ultima ballata del disco: Deep blue, trascinata dal pianoforte e dalla chitarra, incute un senso di pace e serenità, lirica e suggestiva al massimo. Infine chiude questo magnifico album Lullaby for Lucifer, probabilmente la traccia meno interessante. Holy Land è la summa della produzione Angra, il successivo Fireworks è nettamente sottotono e i seguenti non sono neanche da prendere in considerazione per l'assenza di 3/5 della band orginale. Album assolutamente da ascoltare per tutti gli amanti della buona musica.
giovedì 5 marzo 2009
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