venerdì 14 dicembre 2018

L'Albero del Veleno - Le Radici del Male (2013)

Il rinnovato interesse nei confronti dei b-movie italiani degli anni '70 e il conseguente sdoganamento di sottogeneri come il noir, il sexy-horror, lo spaghetti-thriller e i "poliziotteschi" – anche ad opera di personaggi autorevoli come Quentin Tarantino – hanno sicuramente influito sulla riscoperta delle colonne sonore cinematografiche, un settore nel quale gli italiani hanno piu' volte dimostrato di essere dei veri e propri maestri. Dai temi classici di Morricone, Bacalov, Frizzi, Simonetti, Vince Tempera e molti altri, alle esperienze sonore di gruppi quali Goblin, Daemonia, Osanna, Calibro 35, ecc., l’Italia si e' guadagnata il titolo di patria della "musica per immagini". In paesi come la Svezia, giusto per riportare un esempio concreto, la grande passione per le musiche del cinema horror italiano degli anni '70 ha spinto una giovane generazione di artisti (Anima Morte, Morte Macabre, Nicklas Barker, ecc.) a coniare la formula “vintage italian progressive horror music”.

Oggi al gia' lungo elenco di nomi illustri si aggiunge un nuovo gruppo, L'Albero del Veleno, band di Firenze le cui origini risalgono ai primi anni del decennio in corso, quando la tastierista Nadin Petricelli fa ascoltare alcune bozze al suo amico batterista Claudio Miniati, bozze che traevano principale ispirazione dalle colonne sonore di film horror europei anni '60, '70 ed '80, pellicole di Luigi Fulci in particolare. Miniati e' un altro grande appassionato di cinema horror e rimane folgorato dalle composizioni dell'amica, cosi' tanto che pensa sia il caso di mettere su una band. L'intento dei due e' quindi quello di proseguire sulla strada della musica da colonna sonora, soundtrack horror in particolare, quindi requisito fondamentale dei musicisti che vanno ora a reclutare e' la passione per quel particolare genere cinematografico. Nasce cosi' L'Albero del Veleno, composto dai gia' citati Petricelli e Miniati, ai quali si aggiungono Lorenzo Picchi alla chitarra, Marco Brenzini al flauto, Francesco Catoni alla viola e Michele Andreuccetti al basso, e con questa formazione viene pubblicato Le Radici del Male per la Lizard Records nel 2013. La loro e' una musica dark, gotica, completamente strumentale, che cerca di essere piu' fedele possibile alle atmosfere create dai quei film che piacciono tanto ai nostri musicisti, quindi non parlerei di atmosfere deprimenti o malinconiche o tristi, piuttosto ossessive, tese, nervose, inquietanti. Tastiere e viola solitamente conducono, coadiuvate dalla sezione ritmica, mentre chitarra e flauto fanno da contorno, senza risparmiarsi in soli ed excursus: il risultato e' molto piacevole, L'Albero del Veleno non ricorda i Goblin come qualcuno potrebbe pensare, sono invece molto piu' vicini alla tradizione progressiva italiana rispetto al gruppo di Simonetti, per quanto riguarda stili ed influenze. Il flauto, strumento poco incline ad arie oppressive e decadenti, fa da trait d'union fra gli intenti orrifici del gruppo e le radici progressive che comunque accomunano i sei musicisti; la musica che ne viene fuori e' un ottimo prog rock italiano molto incline al doom ed al goth, sempre teatrale e drammatico, mai eccessivo o sgradevole. Un altro paio di peculiarita' prima di addentrarci nel lavoro vero e proprio: l'ultima traccia e' un medley di melodie e motivi presi da soundtrack di vari lavori di Luigi Fulci, colonne sonore dei cui film sono state scritte da Fabio Frizzi; il metodo di lavoro di questi musicisti e' molto interessante, infatti si parte da sceneggiature (vere) di cortometraggi (fittizi) scritte a turno dai vari componenti del gruppo e sulle quali si cerca di comporre la piu' adatta e calzante musica possibile.
Il lavoro si apre con "Dove Danzano le Streghe", subito inquietante con i suoi tappeti di tastiere e viole che compongono l'introduzione, aiutati dal flauto, a creare un'atmosfera in crescendo sulla quale si innesta la chitarra verso meta' brano con un assolo ficcantissimo, salvo poi lasciare la conduzione al pianoforte, il quale si lascia andare ad un altro assolo di rara bellezza; il brano rallenta e si calma ad un minuto dalla fine, per una conclusione piu' atmosferica che mai. La seconda traccia, "...e Resta il Respiro", parte nuovamente con una intro per tastiere, viola e flauto, molto decadente e drammatica, con la chitarra che quando si intromette cambia le carte in tavola, descrivendo un altro indovinato riff, mentre gli altri strumenti salgono e si intensificano all'unisono, per uno schema che abbiamo gia' avuto modo di apprezzare nella canzone precedente; struttura che non cambia neanche nel portare a conclusione il brano, grazie ad una netta accelerata prima ed una decisa sterzata poi, a far crescere la tensione ed appesantire l'aria. "Presenze dal Passato", con i suoi 4 minuti, e' la traccia piu' breve del disco e quella piu' malinconica probabilmente, condotta dalla viola con leggere pennellate di pianoforte, non presenta stavolta variazioni particolari, il tema portante e' solido abbastanza da reggere l'intera canzone. Si prosegue con "Un Altro Giorno di Terrore", della quale esiste anche un videoclip: canzone piu' rock e piu' spensierata della precedente nell'incipit, grazie al lavoro della chitarra e del flauto le cui linee si incastrano alla perfezione; la viola sale gradualmente sostituendo il flauto nella conduzione ed affiancandosi alla chitarra (queste sono le soluzioni musicali che tanto piacciono a noi prog aficionados) e contribuendo cosi' a portare l'atmosfera su territori piu' freddi e solenni; e' ora il turno del flauto nel cercare di reintromettersi nella melodia scalzando stavolta la chitarra e cambiando ancora una volta l'atmosfera, ora un po' piu' allegra ma sempre in qualche modo algida; uno dei brani migliori senza dubbio. "Due Anime nella Notte" comincia con agghiaccianti pulsazioni di basso, che creano la base per un altro indovinato motivo per tastiere e flauto; ben presto si innestano anche chitarra e viola, introducendo leggere variazioni e spunti personali, ma senza stravolgere troppo una traccia gia' assestata su binari solidi. Infine, degna conclusione del disco e' il brano "Al di la' del Sogno... l'Incubo Riaffiora", collage di vari spunti musicali che traggono libera interpretazione dalle colonne sonore dei film di Fulci, film che sinceramente non ho mai visto; 12 minuti di arie horror/thriller, sicuramente sempre interessanti e che sanno intrattenere, e' un po' una summa di quanto sentito finora.
Dal comunicato stampa con cui fu lanciato il disco si legge "L'Albero Del Veleno pianta le sue radici nel 2010 per creare musica strumentale seguendo lo stile nato dalle colonne sonore dei film thriller e horror degli anni '60, '70 e '80. Le varie influenze musicali, assieme alla passione per il cinema, vanno a formare un progetto fortemente introspettivo ed emozionale, reso ancor piu' particolare dall'apporto video presente in tutte le performance dal vivo; ogni brano scritto e' infatti affiancato da una sceneggiatura originale per la realizzazione di cortometraggi. La band si occupa inoltre della composizione di colonne sonore per film horror su richiesta". Album consigliatissimo.

giovedì 13 dicembre 2018

Il problema non e' mai stato la musica

Fin dai primi concerti di musica classica a meta' '700, la musica e' stata additata come la causa del declino della societa', in ogni Paese ed in ogni periodo storico. La musica, in quanto forma d'arte, si e' fatta carico dell'espressione dei sentimenti popolari, ed ha sempre fornito un ottimo strumento di analisi sullo stato della societa'. Se i politici fossero piu' intelligenti o applicassero il metodo scientifico, analizzerebbero testi e significati delle canzoni di musica moderna per avere una fedele prospettiva circa lo stato di un Paese e di una societa'. Invece piuttosto la musica viene incolpata di essere l'origine dei mali che essa stessa denuncia, in un corto circuito logico di rara assurdita'.
Nel pezzo che segue la Trap potrebbe benissimo essere sostituita dal rock'n'roll, dal punk, dal reggae, dal rap, dal blues, persino dal jazz ai suoi tempi.


Ho studiato la Trap come fenomeno sociale, sia quella italiana che americana. Ho fatto delle interviste qualitative ai ragazzi che l'ascoltano, li ho frequentati, sono andato (sto andando) negli istituti superiori a parlarne, ho organizzato pure un paio di concerti per loro. Quindi ho qualche vaga nozione di quello che sto per scrivere. L'ultimo problema che abbiamo in Italia (credo se la giochi alla pari con il terrapiattismo) è Sfera Ebbasta. Il ragazzotto in questione fa esattamente il mestiere per cui è pagato e seguito: racconta i conflitti, desideri, problemi della sua generazione e di quella seguente. Lo fa con un linguaggio (musicale e testuale) comprensibile al suo uditorio, linguaggio che non ha inventato lui, ma è una fusione delle serie tv, dei film, della musica pop e del gergo giovanile della sua generazione. Lui non ha creato nulla, lo ha solo interpretato e reso visibile. E qui sta il vero problema, che non è suo né del suo uditorio, ma vostro. La realtà che vi sputa in faccia senza filtri non la capite, vi fa paura, vi sembra un incubo distopico. Codeina ed eroina sono tornate, circolano fra i ragazzi in quantità che non immaginate, a costi bassi nemmeno fossero brani scaricabili da Spotify. Le ha diffuse la Trap? No, circolavano da tempo come sedativi contro l'ansia dell'isolamento sociale, del non avere futuro, dell'essere inchiodati nel circolo eterno di lavori precari e sottopagati. La Trap si limita a farvi vedere quanto sono presenti e pervasive. Le ragazzine minorenni che vendono immagini/video porno per una ricarica da 10 euro del cell, che scopano con il ragazzo con più follower della scuola per poi postare una foto su Instagram e guadagnare 100 like in più, che si fanno chiamare troie e se ne vantano in opposizione al neobigottismo del politicamente corretto, non esistono perché ci hanno scritto delle barre Sfera o la Dark Polo Gang. Sono le sorelle povere e politicamente scorrette di Chiara Ferragni, la stessa che portate in palmo di mano come esempio di giovane imprenditrice di successo, innovatrice di marketing, donna consapevole ed emancipata. Il motto "No way out" che è la bandiera della Trap, non l'hanno coniato Lil Peep o Ghali, ma è ripreso da un famoso discorso della Margaret Thatcher, in cui la premier di ferro inglese davanti alla macelleria sociale conseguenti alle riforme neoliberali sosteneva non ci fosse altra strada, altro mondo possibile, se non quello del tutti contro tutti per le ultime briciole del benessere. Voi questo discorso l'avete ripetuto fino alla nausea nelle scuole, nei media, nelle convention di marketing ed economia, che loro l'hanno interiorizzato, fatto diventare un'estetica e uno stile di vita. Vi fa schifo vederli agghindati con rolex da 50.000 euro, Nike anni '90 da 500 euro a botta, felpe Pyrex pagate 10 volte il loro prezzo di produzione? Chi ha inventato il feticismo del logo, il marketing che associa dei "valori" ad un brand aziendale, la delocalizzazione per aumentare i dividendi degli azionisti? Non certo loro, non erano nemmeno stati concepiti quando voi idolatravate MTV, celebravate i prodotti Apple come fossero rivelazioni divine, vi riempivate la bocca di delocalizzazione e abbattimento dei costi di produzione per favorire la ripresa del consumo. Adesso vedete gli effetti incarnati di quello che predicavate (ma soprattutto praticavate ogni giorno, da 30 anni a questa parte) e vi fanno paura? Il problema non è di Sfera né dei ragazzini che lo ascoltano, ma vostro. Vi fanno ribrezzo perché sono voi senza le vostre menate buoniste, la vostra retorica dei veri sentimenti, il vostro moralismo da squali che piangono dopo aver divorato la preda? Nessuno ama guardarsi allo specchio, ma proprio per questo è necessario, e la musica pop è il più grande e fedele fra gli specchi.
Comunque la Trap non è un problema, anzi: permette un ponte fra le generazioni, di entrare nell'immaginario dei giovani e giovanissimi per capire il loro problemi e provare a dare loro una risposta, permette di avere un linguaggio condiviso per parlarci da pari a pari. Ma a voi capire e dare risposte ai loro problemi non interessa, non vi interessa nemmeno parlarci. Vi basta metterli in riga, farli stare zitti, nascondere sotto il tappeto le contraddizioni e la solitudine a cui li costringete. Non siete intellettuali, critici, insegnanti o educatori: siete l'ennesima incarnazione dell'eterno fariseo.


Federico Leo Renzi