mercoledì 22 dicembre 2021

venerdì 19 novembre 2021

Malombra - The Dissolution Age (2001)

Altro prodotto dell’industriosa Black Widow, altro disco ancorato a radici underground, ennesimo lavoro degno di molta attenzione. I Malombra sono un gruppo italiano di Genova che ha donato alle stampe tre album fra il 1994 ed il 2001, il primo e l'ultimo di stampo gotico/doom, mentre quello in mezzo decisamente piu' sinfonico. Nonostante la critica apprezzi maggiormente il secondo, io adoro il terzo, con le sue arie macabre ed inquietanti. Incuriosisce il fatto che la formazione del terzo lavoro presenti un solo membro dal nucleo dei due album precedenti, ma il suono e' molto simile a quello del primo ed anzi lo migliora decisamente. Il gruppo si è formato all’inizio degli anni ’90 a Genova sulle ceneri degli Zess, oscura entità nella quale operava il cantante Mercy insieme al bassista Diego Banchero ed altri musicisti. Nel 1992 l’incontro di Mercy con il tastierista Fabio Casanova ed il comune amore per letteratura, cinema ed in genere per tutta la cultura mitteleuropea fecero scattare la scintilla: nascevano i Malombra e già dal nome scelto (un romanzo di Fogazzaro portato sul grande schermo da autori come Carmine Gallone e Mario Soldati) si intuisce una passione per tematiche romantiche e decadenti, incentrate su punti chiave che vanno dall’ossessione psicologica alle suggestioni mistiche. Si definiscono cosi' le coordinate sonore, che spaziano tra il progressive più oscuro e hard ed il post punk degli anni ’80. Dopo l’uscita del secondo lavoro, Our Lady Of The Bones, forse per divergenze interne al gruppo, le vie dei componenti si separano: gli unici a rimanere (seppure come separati in casa) sono Fabio Casanova e Mercy, impegnati comunque in altre attività parallele. Se il primo è alle prese con un disco solista che ne sancisce l’allontanamento quasi definitivo dalla struttura madre, il secondo costituisce insieme al vecchio amico Diego Banchero Il Segno Del Comando. Questi progetti sembrano dare nuova linfa al singer e così il 2001 segna il ritorno in scena dei Malombra, con una formazione rimaneggiata che vede lo stesso Banchero al basso, Francesco La Rosa alla batteria, Roberto Lucanato alla chitarra e Franz Ekrun alle tastiere. Ciò che viene fuori è The Dissolution Age, lavoro che spacca in due gli appassionati della band: oggetto della discordia è la nuova strada intrapresa da Mercy, meno ancorata agli stilemi dark progressivi, senza disdegnare frequenti inserti in territori doom e gothic metal. Collocare i Malombra e’ tutt’altro che facile, l’etichetta di dark band va decisamente stretta a Mercy e soci, sicuramente c’e’ del doom cosi come molta elettronica, ma non certo quella fine a se stessa, l’uso che i Malombra ne fanno e’ saggio e dosato, atto a creare atmosfere cupe e tristi, che spesso sono in contrasto con le ritmiche sostenute. La musica del gruppo genovese e' strana, stridente, abrasiva, bizzarra, si intuisce l'intenzione di voler creare qualcosa di nuovo ed in generale i risultati sono importanti ed apprezzabili, anche se non in ogni frangente. Il loro prog e' particolare, tendente a certi generi di metal come il doom e lo psych, oserei dire che sono simili agli Hail Spirit Noir, pur avendoli preceduti; l'album in questione presenta per la maggior parte canzoni degne di nota (pun intended), accompagnate da episodi un po' meno riusciti, ed a mio parere una tagliuzzata qua e la' avrebbe giovato, considerando i 72 minuti di lunghezza. Il lavoro in se' e' comunque una sorpresa assoluta, intrigante, ed al tempo stesso sbalorditiva. Al classico sound della band legato da sempre alla tradizione occulta made in Italy (Biglietto per l'inferno, Goblin, Il Segno Del Comando, Daemonia, Devil Doll), si aggiunge in questo nuovo capitolo una dimensione maggiormente easy listening ed attuale, che è possibile ravvisare in particolar modo in brani come Everybody Afterwards, The Anti-sex e la stessa title-track: attraverso infatti sintetizzatori ereditati dalla electro-wave e dai Kraftwerk in primis, chitarre taglienti e beat suadenti, i nostri riescono a raggiungere i loro intenti affiancando la tradizionale vena dark-progressive ad un electro-pop/metal di prim’ordine che non appare mai scontato e sempre sufficientemente elaborato. Rispetto quindi al precedente album, i Malombra mostrano di aver scelto la strada dell’evoluzione stilistica, pur tornando sui loro passi per riprendere ed evolvere un suono gia' creativo ed originale, che aveva solo bisogno di un po' di sgrezzamento, senza violare quell’attitudine votata al puro dark feeling che avevamo conosciuto precedentemente in altri ottimi brani come The Duncan Browne Song, Venice Lido 1901, The Lost Father; durante tutta la sua lunghezza The Dissolution Age ci riconferma quindi la vena creativa di una band estranea alle facili logiche di mercato, e fieramente intrisa di uno spirito artistico raramente riscontrabile di questi tempi. Ad alcuni piacera’ molto ad altri no, infatti e’ uno di quei dischi bianco e nero, o li odi o li ami, non consente mezze misure e, sinceramente, non le merita. Personalmente sono fra quelli a cui il disco e’ piaciuto e non poco, una base fortemente doom, con molti inserti elettronici e quasi gotici, la voce di Mercy e’ magnetica e particolarissima, ricca di personalita’ e si propone come elemento distintivo del gruppo nonche’ come principale attrazione del disco. I singoli brani presi a se stante sono molto validi, ma e’ il complesso del disco che racchiude il valore aggiunto, se Unknown Superiors, Everybody Afterwards o A Spiritual Waste se la giocano come best track e’ l’intero lavoro che cattura l’attenzione grazie alla sensazione di continuita’ e compattezza (contrariamente a quanto potrebbe apparire dalla lunghissima durata del tutto). Una title track che rappresenta la parte più violenta della band, una The Anti-Sex che invece mette a fuoco quella più inquietante, un Mercy che declama, strattona e coinvolge come pochi oggi riescono a fare in questo campo. Via anche le componenti mistiche che ne avevano caratterizzato il passato e largo spazio agli orrori del reale, forse ancora più angosciante dell’esoterismo evocato in passato e dentro una Venice Lido 1901 decisamente sopra le parti, semplicemente drappi e velluti che coprono una desolazione ed un’angoscia che non vuole finire. Un disco da ascoltare con attenzione, nel quale entrare, affascinati dalle spire che lo compongono e si serrano alla gola, perché sarebbe facile fermarsi alla superficie dell’era della dissoluzione e non entrare nel merito, magari liquidando i Malombra come un semplice gruppo dark gotico, etichetta senza dubbio incompleta quando si tratta di dischi e di gruppi come questo. Lungo tutti e 72 i minuti dell’opera si dispiega un rinnovato carattere, una personalità camaleontica che vuole rileggere ogni angolo nascosto che la musica del passato ha prodotto.

giovedì 22 luglio 2021

Mai dire Gol del Lunedì 1994-95 - Puntata 01 (24-10-1994)

Alias - The Second Sun (2020)

Gli Alias sono una band di Napoli al loro album d'esordio, ed e' un esordio coi fiocchi. Nascono come progetto musicale in cui si vogliono fondere classica, etnica, jazz e rock, data la variegata estrazione dei musicisti che ne fanno parte, per un risultato davvero sorprendente. Tutto nasce nel 2019, quando alcuni talentuosi musicisti, con precedenti esperienze in gruppi come Orchestra Multietnica Mediterranea e Napoli Centrale, hanno deciso di unirsi per sperimentare un originale etno-rock progressivo. Nel 2020 la band ha autoprodotto l'album di debutto intitolato "The Second Sun" con una formazione composta da Romilda Bocchetti alla voce e tastiere, Giovanni Guarrera alla chitarra, Ezio Felaco al basso e Fredy Malfi alla batteria. Nonostante tra le loro fonti di ispirazione citino King Crimson, Gentle Giant, Pink Floyd, Led Zeppelin, Tangerine Dream, a mio avviso questi nomi potrebbero trarre in inganno visto che la vena folk-jazz con venature vistosamente pop tende a prevalere. L'intero album è dedicato alla memoria dell'inventore serbo-americano Nikola Tesla, quindi la copertina del pittore, scrittore e poeta Raffaele Bocchetti (probabilmente parente di Romilda) rappresenta una versione psichedelica della Wardenclyffe Tower, una prima stazione di trasmissione wireless sperimentale progettata e costruita da Tesla a Long Island nel 1901-1902, stazione che non ha mai funzionato ed ha dovuto chiudere ad un certo punto per mancanza di fondi, ma le tesi teorizzate dallo scienziato fungeranno da base per quella che che sara' la tecnologia WiFi e l'internet come lo conosciamo oggi.
L'apertura strumentale di Red Six crea bene l'atmosfera portante dell'album. E' un bellissimo pezzo che fonde musica classica, melodia e jazz e porta alla successiva Pitch Black, un brano complesso che cerca di evocare in musica e parole i sogni e le speranze di alcuni migranti in viaggio su una fragile barca e in cerca di una migliore futuro in terra straniera. Presto i sogni si trasformano in incubi in una notte nera su un mare in tempesta che sembra sul punto di inghiottirli da un momento all'altro. Quello che resta è solo un pizzico di rimpianto e il bisogno di respirare per sopravvivere. Purtroppo sappiamo benissimo di cosa gli Alias stanno parlando in questa canzone. Mediterraneo Prog è un affascinante brano strumentale che fonde influenze jazz e mediorientali. Inizia dolcemente con un pezzo per solo pianoforte, poi il ritmo prende il volo e la musica vira verso territori esotici: provate ad immaginare di essere su un'isola deserta sperduta nel mar Mediterraneo e lasciate che le note vi avvolgano in quell'atmosfera calda, poetica ed evocativa. E' un pezzo onirico estremamente affascinante. La strumentale Danza dei Due Mondi è una meravigliosa celebrazione dei colori mediterranei che inizia da un assolo di chitarra e gradualmente si trasforma in una tarantella prog che potrebbe ricordare la PFM. Il lungo e complesso The Second Sun cerca di ricreare in musica gli esperimenti visionari di Nikola Tesla. C'è una sottile aura di mistero, note scure respingono la luce mentre la tensione sale e il tempo si ferma, poi ci si perde in un labirinto di campi magnetici con mille echi che tuonano nella mente all'alba di un secondo sole. Lo strumentale Samsara chiude l'album con un'esplosione di energia positiva. Il titolo si riferisce al ciclo infinito della vita attraverso nascita, morte e rinascita e la musica scorre allegramente. In conclusione, un lavoro che mescola al meglio influenze prog, folk, rock e pop, un miscuglio che non puo' non colpire. Nel complesso un grandissimo album ed un esperimento riuscito, spero che questa band continui su questi binari perche' hanno tanto da dire. Prog rock never dies.

mercoledì 20 gennaio 2021

Mai dire Gol del Lunedì 1992-93 - Puntata 01 (05-10-1992)

Mai Dire Gol e' forse il miglior show comico della produzione italiana. Ha lanciato comici che rivestiranno un ruolo di primo piano nella definizione della categoria nel nostro Paese da 30 anni a questa parte. Aldo, Giovanni e Giacomo sono probabilmente quelli che hanno avuto maggior successo, seppur non avessero un ruolo di primissimo piano nella trasmissione, Simona Ventura ha avuto una carriera folgorante nella televisione italiana, cosi' come Alessia Marcuzzi; mentre Antonio Albanese, Fabio De Luigi e Paola Cortellesi sono diventati attori relativamente famosi, Luciana Littizzetto, Maurizio Crozza, Claudio Bisio e Daniele Luttazzi hanno avuto altre carriere importanti seppur in ambiti abbastanza diversi, ma il grande protagonista e' sicuramente Teo Teocoli, uno dei migliori comici italiani di sempre secondo il mio modesto parere, in grado di improvvisare come pochissimi sanno fare, i suoi svariati personaggi sono l'anima del programma. Menzione a parte merita la Gialappa's Band, trio ideatore del programma e gli unici ad essere presenti dalla prima all'ultima puntata, d'altro canto e' impossible pensare ad un'edizione di Mai Dire Gol senza Carlo, Giorgio e Marco, la loro verve inconfondibile, acuta, il sarcasmo ma anche la denuncia sociale sotto forma di presa in giro verso alcuni personaggi che stavano rendendo la televisione italiana una fabbrica di spazzatura. Altri comici comparsi nel programma sono stati Bebo Storti, Francesco Paolantoni, Paolo Hendel, Gioele Dix, Marco Milano, Raul Cremona, Dario Vergassola, Giovanni Cacioppo, Ale & Franz, senza dimenticare Ellen Hidding. Sono riuscito a rimediare tutte le puntate di tutte e dieci le stagioni che vanno dal 1990 al 2001, anche se non postero' le prime due stagioni, in quanto c'e' solo la Gialappa's con i loro video e preferisco concentrare l'attenzione sugli attori comici. Avevo visto molte puntate, sicuramente non tutte, delle prime stagioni quand'ero ragazzino, ma rivederlo adesso e' tutt'altra cosa, soprattutto perche' a quell'eta' alcune battute non le capivo e certo umorismo e' sicuramente indirizzato ad un pubblico adulto.
 

venerdì 15 gennaio 2021

La Düsseldorf - La Düsseldorf (1976)

Band fondata a Düsseldorf nel 1976, ha dato alle stampe tre album prima di sciogliersi nel 1983; si e' riformata nel 2001 ed e' rimasta attiva fino al 2008, senza pero' giungere a nessuna pubblicazione.

La Düsseldorf è il progetto di Klaus Dinger, cantante, chitarrista, tastierista e sintetizzatorista, dopo la scissione dei Neu! nel 1975. In questa avventura musicale Klaus è accompagnato dal fratello Thomas, percussionista e cantante, e da Hans Lampe, percussioni e sintetizzatore, che hanno anche partecipato alla registrazione del terzo e ultimo Neu!. L'omonimo album "La Düsseldorf" è stato pubblicato nel 1976, avventurandosi nell'avanguardia rumorista, nella manipolazione dei suoni e nelle atmosfere pre-punk. Questo album presenta un totale rifiuto delle convenzioni musicali, i musicisti non esitano a mischiare senza restrizioni un mucchio di stili presi da una grande varietà di generi musicali, tramite accenni pop, impulsi elettronici, lunghi strumentali stile krautrock ed eccentricità punk. Dopo questa originale e diversificata raccolta di esperimenti, la band registra il secondo album "Viva" nel 1978, un concept politico contro il capitalismo che arriva direttamente durante gli anni d'oro della musica punk. Tuttavia, l'album rimane progressivo con tirate di synth e un ritmo elettronico insistente, alla Kraftwerk. Solo la voce e le chitarre sporche distorte ci ricordano la rabbia e il suono primitivo della musica punk. Nel loro ultimo "Individuellos" (1980) l'atmosfera è più rilassata rispetto ai primi due album ed offre alcuni passaggi sonori ambient accanto al rock elettronico astratto e ritmico. Dopo questa creativa esperienza musicale, Thomas provera' l'avventura solista, mentre Klaus e la sua Dingerland (il nome dato alla sua etichetta personale) continuano la strada scritta da La Düsseldorf con la pubblicazione di diversi progetti. In questo album, Dinger sembra aver capito quali sono i suoi punti di forza e li ha affinati, donandoci quattro tracce estremamente soddisfacenti.
L'orgoglio civico della band e' palpabile: un gruppo della città di Düsseldorf, che si fa chiamare La Düsseldorf, con un album di debutto omonimo in cui le prime due tracce (che riempiono tutto il lato A del vinile originale) sono chiamate "Düsseldorf" e " La Düsseldorf ". E non dimentichiamo i testi, per lo più una ripetizione infinita del mantra "Düsseldorf ... Düsseldorf", il tutto riprodotto all'infinito sul foglio dei testi allegato. Dinger è sempre stato la metà proto-punk più dura del duo pionieristico Neu! (insieme alla benevolenza hippy della coda di cavallo di Michael Rother), e il responsabile del ritmo motorik tipico della band, perfezionato qui fino all'ossessione. La Düsseldorf potrebbe non aver prodotto nessun nuovo terreno stilistico, ma i ritmi ridotti al minimo erano una boccata d'aria fresca in un'epoca di virtuosismi sempre più iperbolici. La strumentazione e' molto particolare: due batteristi che lavorano in sync e molte sovrapposizioni di chitarra elettrica, a cui non sono consentiti assoli. Il bassista è solo un ospite occasionale, ed i synth aggiungono un velo scintillante di luci colorate. Nessuna canzone è improvvisata, anche se sembra diversamente ad un primo ascolto, e l'atmosfera è più ottimista e luminosa delle escursioni controculturali tipicamente oscure del krautrock più classico, spesso costruendo un climax estatico ed esilarante.
L'album si apre con la lunga traccia Düsseldorf: inizia con il rumore di un aeroplano che atterra prima che il familiare battito del motorik entri in azione, con un semplice motivo di chitarra e una melodia di synth molto Kraftwerk intrecciata attorno ad esso. Il suono è allo stesso tempo familiare e nuovo; il ritmo pulsante è puro Neu!, ma la voce multistrato e le svolte melodiche sono sviluppi che erano stati solo accennati in Neu! 75. È come se attraversassimo Düsseldorf su un'autostrada vuota in una Mercedes nuova di zecca, con le luci al neon che brillano nell'oscurità, ed è orecchiabile come i migliori Kraftwerk. Dove i Neu! avrebbero mantenuto lo stesso groove minimale per tutta la durata del pezzo, i La Düsseldorf accelerano, rallentano, giocano con la melodia e in generale sembra che si stiano divertendo moltissimo. Testi interessanti sulla città di Düsseldorf: "Vento acuto, proprietà costose. Specchio e acciaio inossidabile, nomi di marchi aziendali. Oggi andiamo nella città vecchia. Ponte d'oro e cigni selvatici". La Düsseldorf, la seconda traccia, ha qualcosa dell'energia punk che è stata ascoltata su Hero di Neu! 75. Si apre con un canto dei tifosi locali prima di sfociare in una motivo grezzo e stiracchiato condotto da due sole corde attraverso il ventre squallido della scintillante metropoli ritratta nel primo brano. Il terzo brano, Silver Cloud è uno strumentale che possiede quel tipo di bellezza glaciale più solitamente associato all'ex compagno di band Michael Rother e che mette in mostra l'abilità di Klaus alla tastiera. E' un brano strumentale che ha raggiunto la top 10 dei singoli tedeschi, realizzando l'obiettivo di Klaus di spingere il suono Neu! nell'intrattenimento popolare. Ritmo orecchiabile e sintetizzatori prominenti. La canzone di chiusura, Time, presenta un testo multilingue (c'e' anche l'italiano) e cresce lentamente su tamburi martellanti e grassi accordi di organo per portare l'album a conclusione in un climax appropriato.
Brian Eno ha rilasciato un suo parere su Klaus: "C'erano tre grandi beat negli anni '70: l'afrobeat di Fela Kuti, il funk di James Brown e il motorik di Klaus Dinger". Julian Cope aggiunge "Il suono di Klaus Dinger è stato il progetto architettonico del punk britannico". La Düsseldorf concilia efficacemente i due lati di Neu! 75 e aggiunge diversi nuovi ingredienti alla ricetta. È un album molto efficace e divertente, con un suono più fluido di quanto ci si potrebbe aspettare, e piu' moderno rispetto al krautrock molto in voga in quel periodo. Il minimalismo dei Neu! è stato aggiornato e infuso con un po' di chitarra rock, decisamente sporca, e voci gioiose, e per la maggior parte funziona brillantemente. Non esattamente un capolavoro, ma fortemente consigliato.