venerdì 24 maggio 2019

Cultura è la parola chiave per un’altra Europa

«Steve Bannon, ideologo del sovranismo identitario è sceso in un Grand Hotel parigino per portare una buona parola xenofoba alle persone sofferenti», così il direttore di Liberation, Laurent Joffrin, racconta l’avanzata delle destre nazionaliste suprematiste e fondamentaliste cristiane in Europa. Come è noto l’ex consigliere di Trump si è precipitato in Europa, e in Italia in particolare, per radunare crociati puntando a disgregare l’Unione. Anche se il suo è un esercito di egoismi nazionalisti pronti a mettersi gli uni contro gli altri, è interessante chiedersi perché si sia mosso da Oltreoceano per gettarsi in questa concione. Ciò che appare evidente è che un’Europa forte politicamente unita e democratica potrebbe dar fastidio agli Usa. Se Bruxelles attuasse un green new deal, ascoltando la voce degli scienziati e dei giovanissimi che sono scesi in piazza nei Fridays for future, potrebbe guastare gli interessi delle multinazionali. Ma c’è di più. Un’Europa aperta, laica, democratica, solidale, attenta ai diritti sociali e civili non dà noia solo alle destre, in senso stretto, ma anche ai neoliberisti che predicano l’austerity e che, dopo la crisi del 2008, ancora parlano, come se nulla fosse, di auto regolamentazione del mercato. In giro se ne incontrano ancora parecchi, da Macron a Calenda.


In comune con le destre sovraniste i neoliberisti hanno l’ossessione di alzare muri, di presidiare confini, di costruire eserciti, bloccare la libertà di movimento dei migranti (soprattutto se migranti economici). Non è questa l’Europa che vogliamo! Su Left lo andiamo dicendo da molto tempo, provando ad immaginare un’altra Europa possibile, numero dopo numero del settimanale; ora anche con un libro L’Europa rapita con contributi di politologi, economisti, filosofi, uomini e donne di cultura. Ed è questa per noi una parola chiave: “cultura”. Oltre che un’Europa fondata sull’uguaglianza, sulla giustizia sociale, sul welfare, sul rispetto dei diritti umani,  sogniamo un’Europa meticcia che, lungi dal brandire la propria identità come una clava, sia attraversata dal dialogo interculturale, aperta ai Paesi del Mediterraneo, senza confini. In barba ai crociati di ieri e di oggi che cercano di imporre il falso dogma delle radici cristiane. Basta dare un’occhiata alla storia per scoprire che si tratta di una assurdità. Pensiamo, solo per fare un esempio, al grande contributo della cultura araba che ha animato centri culturali raffinatissimi in Spagna e nella penisola, dalla corte di Federico II in Sicilia al Rinascimento fiorentino, che non avrebbe mai scoperto la prospettiva senza gli studi di ottica degli scienziati arabi. La verità storica è che le radici dell’Europa sono quanto mai polifoniche, risuonano di accenti differenti, hanno mille colori diversi. Unità nella varietà, questa è la vera ricchezza dell’Europa. E da questo tesoro dovremmo ripartire per una nuova Unione fondata sulla cultura, sulla conoscenza, su un’idea di benessere dei cittadini che non si limiti al soddisfacimento dei bisogni, ma ambiziosamente sostenga il pieno sviluppo personale e creativo dei cittadini. Per questo, se non fosse una parola che suona finta e usurata nelle proposizione fittizia e plastificata che ora ne fa Macron, diremmo che all’Europa serve un nuovo Rinascimento, un rinnovato umanesimo. Per combattere i rigurgiti nazionalisti e neoliberisti che in comune hanno la religione del profitto (di pochi) e una visione anaffettiva e disumanizzante, serve un pensiero nuovo di sinistra, con una visione profonda della realtà umana, un’«onda rossa» per dirla con Mimmo Lucano, che abbia la fantasia di immaginare un modo diverso di stare insieme, di fare società. Serve un’Europa di sinistra che investa nella scuola, nell’università, nella formazione continua, che punti con coraggio sulla ricerca scientifica e sullo sviluppo tecnologico per potenziare l’umano (e non per creare disoccupazione). Un percorso in questo senso è avviato da secoli, basta pensare alla “rete” delle università medievali, ma rischia di rimanere incompiuto, se pensiamo che solo il 2 per cento dei laureati ha partecipato al progetto Erasmus dal 1987 ad oggi. In questi giorni, molte iniziative ricordano i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci, esempio di poliedrico artista e scienziato, europeo ante litteram, umanista dalla fantasia inarrestabile e cosmopolita. Ma se il presidente francese Macron sciovinisticamente impone anche alla lettura della storia dell’immigrato Leonardo un paradigma assimilazionista, esponenti della destra italiana come Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia (che ha candidato alle europee il pronipote del Duce Caio Mussolini) vorrebbero ascrivere alla sola stirpe italica il genio che scelse di varcare le Alpi portando con sé La Gioconda. Et voilà. Non sono questi i personaggi ai quali vogliamo consegnare l’Europa.

mercoledì 1 maggio 2019

Dificil Equilibrio - Trayecto (2000)

Trayecto e' il terzo e probabilmente miglior album della band spagnola Dificil Equilibrio, dedita ad un heavy prog con forti influenze crimsoniane, direi soprattutto del periodo settantino. Si tratta di un power trio senza cantante che ben rende atmosfere scure, opprimenti, nervose; canzoni molto ritmiche e cangianti, sempre divertenti ed interessanti, che sanno catturare l'attenzione

dell'ascoltatore; il flusso musicale continuo e i numerosi cambi di tempo non danno un attimo di tregua, il lavoro scorre fluido e senza momenti di stanca. Le uniche informazioni che sono riuscito a reperire riguardo il gruppo dicono che sono originari della provincia di Barcellona, sono attivi dal 1995 (seppur esista un album datato 1988 che e' probabilmente una raccolta di canzoni dei tre musicisti prima che formassero la band) e si dividono cosi' la scena: Alberto Diaz alla chitarra, Enric Gisbert al basso e Luis Rodriguez alla batteria. Questo e' tutto cio' che so sul loro conto, a meno che non mi metta a leggere le interviste in spagnolo, cosa che potrei pur fare ma non nutro tutto questo interesse nei loro confronti. Mi basta appurare che quello in questione e' un gran album e merita sicuramente di far parte di ogni collezione che si rispetti; l'energia che i tre mettono nella loro produzione musicale e' sicuramente il marchio di fabbrica del gruppo, il quale altrimenti risulterebbe semplicemente come un clone dei King Crimson, inoltre gli spunti doom uniti a quelli jazz, le distorsioni e l'industrial sono si' elementi che troviamo nella band inglese, ma i nostri amici spagnoli ne fanno un uso piu' largo e meglio sviluppato.
In generale, il suono complessivo della band e' innegabilmente sofisticato, con un tocco raffinato di rumorismo e minimalismo: non sembra di ascoltare un power trio, la musica dei Dificil Equilibrio funziona piu' come un insieme coeso in cui ogni singolo membro si mette a disposizione e lavora a beneficio degli altri due. Il breve apripista Compulsión si basa su una serie accattivante di progressioni di accordi ad alta velocita', a cui fa seguito il misterioso ed inquietante Mudan Las Palabras, che vede il gruppo spagnolo addentrarsi nell'esplorazione dei territori fusion del contesto Crimsoniano, e merita una menzione speciale l'intelligente uso dello spazio vuoto da parte del bassista ed il breve assolo di chitarra incluso nell'intermezzo. I brani seguenti seguono quasi tutti lo stesso schema: ci sono momenti in cui sembrano consapevolmente flirtare con la pericolosita' dello strappo e del brusco cambio di tempo (come in Hostilidad Simétrica ​​e nel La Lógica del Vampiro), ed altri in cui si lasciano andare a melodie piu' costanti e regolari. Trayecto IV e la successiva Trayecto compongono un pezzo jazzistico a due sezioni che vede la band concentrarsi ed insistere su espansioni di motivi semplici alla base ma aperti a innumerevoli evoluzioni e variazioni: l'interazione fra i musicisti e' precisa e fluida, ma nonostante l'impressione di trovarsi di fronte ad un album freddo e calcolatamente tecnico, in realta' si tratta di un vero lavoro di introspezione tradotto in termini musicali, iniziando nella prospettiva di una languida contemplazione e poi trasformandosi in un atteggiamento moderatamente esultante (ovviamente queste sono le impressioni che ha dato a me personalmente, ricordo che si tratta di un lavoro interamente strumentale). I frangenti piu' hard sono condensati nelle ultime tre tracce: Vigilia e Retrofremovium #01 sono due escursioni che ricordano il lato piu' decostruttivo degli Henry Cow; la traccia di chiusura Self Portrait mostra un potente motivo hard rock prima di proporre due minuti di silenzio seguiti da un assolo di chitarra che chiude quindi l'album.
Tecnicamente una lavoro impeccabile, la musica e' per lo piu' incentrata sul complesso lavoro chitarristico di Alberto Diaz e sulla sezione ritmica adiacente, condita da numerosi effetti sonori e distorsioni, e descrive un complicato hard prog strumentale con un po' di spazio per rumori di traffico automobilistico, jam semi improvvisate, pesanti dissonanze e ritmiche che presentano infiniti cambi. Forse manca un po' di diversita' strumentale, ma la dinamica e l'energia sono di prima classe.