lunedì 1 novembre 2010

Weidorje - Weidorje (1978)

Lo Zeuhl e' un sottogenere del prog inventato da quei mattacchioni francesi dei Magma durante i '70. La differenza principale, e cio' che lo rende un genere unico, con il prog rock piu' classico e' la quasi totale assenza di melodia, romanticismo, ariosita'. E' qualcosa di criptico e opprimente. Volendo tentar di descriverlo si potrebbe dire che e' composto da loop ripetuti ossessivamente, con altri loop che incombono e altri che svaniscono e cosi' via. Anche la voce spesso e' solo una litania straziante che molto raramente "parla", piuttosto si limita a vocalizzi agghiaccianti. E' una musica oscura, asfissiante, tesa, tormentata. La domanda che viene spontanea e' come puo' piacere tal tipo di musica. Beh, la house, la techno, la drum'n'bass non sono altro che loop ripetuti all'infinito anche, e mi sembra godano di ottima popolarita', al di la' del valore artistico. La differenza con lo Zeuhl e' che quest'ultimo e' composto da motivi ricercati, per niente orecchiabili, poliritmie e tempi dispari. Non e' una semplice sovrapposizione di ritmi danzerecci sintetici. Il suo potenziale e' infinito ma spesso e' vittima della sua stessa ricercatezza, infatti molte band tendono ad indugiare su suoni cacofonici e molto poco musicali, che spesso non conducono a nulla. Quando invece e' ben fatto, quando i loop sono indovinati, quando l'oppressione diventa piacere, quando c'e' la ricerca dell'orecchiabilita' in un contesto molto poco orecchiabile, allora il gioco e' fatto. Purtroppo questo capita molto raramente. I Weidorje si formano da una costola dei Magma nel 1976, danno alla luce un EP omonimo nel 1978 e si sciolgono nel 1979. Quell'EP sara' poi arricchito con due traccie inedite live e pubblicato come album nel 1992. La parola Weidorje compare per la prima volta nell'album dei Magma Udu Wudu e significa ruota celeste in Kobaiano, la lingua inventata dalla band di Vander. Il gruppo e' fondato dal bassista Bernard Paganotti, di conseguenza lo stile e' basato sul suono del basso, che io, come gia' detto molte volte, adoro. Bernard applica al suo basso una distorsione estrema, cosa che mai gli era stata permessa nei Magma, rendendo il suono infuocato, accattivante e carico di groove. Gli altri membri non sono da meno, i dialoghi fra le tastiere e i fiati sono geniali, la batteria sempre puntuale, la voce quasi assente. La chitarra e' un po' in disparte, ma non e' un limite. La loro musica e' uno Zeuhl con tratti jazz e fusion, caratterizzata da incandescenti riff di basso, tellurici incroci di fiati, tappeti di tastiere e logoranti vocalizzi demoniaci. La formazione e' la seguente: Bernard Paganotti a basso e voce, Patrick Gauthier alle tastiere, Michel Ettori alla chitarra, Kirt Rust alla batteria, Alain Guillard al sax, Yvon Guillard alla tromba e voce e Jean-Philippe Goude alle tastiere. Come si puo' facilmente intuire, questi ragazzi attingono molto dal Magma-style ma lo semplificano, tanto basta per renderlo piu' accessibile, per questo li preferisco di gran lunga al gruppo di Christian Vander. Il disco che consiglierei a chiunque voglia approcciare per la prima volta l'oscuro mondo dello Zeuhl.

mercoledì 20 ottobre 2010

Warm Dust - Warm Dust (1972)

I Warm Dust sono stati una band inglese dedita a certo jazz/rock di pregevole fattura. Durati pochissimo, appena due anni dal 1970 al 1972, fanno comunque in tempo a pubblicare tre album dalle vendite nulle ai tempi, nettamente rivalutati oggigiorno. La critica predilige i primi due, a me piace il terzo, ultimo, omonimo. La loro musica parte dal jazz, colorato, vivace, caldo, con molti strumenti a contendersi la scena, per contaminarsi di rock, fusion, psichedelia, tutto molto free-form. Data la raffinatezza della loro proposta si potrebbero accostare ai Nucleus, tanto per trovare un termine di paragone. Le liriche provocatorie che spesso affrontano argomenti importanti inspessiscono ulteriormente il valore di questo gruppo. Inoltre i Warm Dust sono stati la prima band del cantante compositore polistrumentista Paul Carrack, il quale, dopo aver militato in vari gruppi fra cui i Roxy Music, sara' protagonista di una folgorante carriera solista nell'ambito jazz. Oltre a Paul che suona organo, piano e percussioni, vi sono Les Walker, cantante, Alan Soloman al sax, flauto, tastiere e synth, John Surgey a chitarra, sax e flauto, Tex Comer e' il bassista, infine John Bedson a batteria e percussioni. La foto di gruppo del sopracitato sestetto e' cosi' bella che non posso non postarla. L'album Warm Dust presenta una prima facciata piu' orientata verso il jazz ed una seconda dove invece gli elementi prog emergono vistosamente, fino a lasciarsi andare a sinfonismi come la penultima traccia e l'attesa, e riuscita, suite finale. Si parte con Lead Me to the Light, introdotta dal flauto, molto presente in tutto l'album, con la calda voce di Les che subito irrompe ad avvolgere l'ascoltatore con il suo pathos; la melodia e' calma, piacevole, rilassante, sembra quasi di ascoltare una ninna-nanna d'altri tempi. La parte centrale e' invece dominata dall'organo che e' lasciato libero di spaziare mentre la sezione ritmica forza i tempi nei binari giusti e il sax da' man forte. La parte finale torna sul cantato, stavolta coadiuvato da un controcanto, a rendere l'atmosfera piu' decadente e romantica. La seconda canzone e' Long Road, piu' movimentata e veloce, con i fiati a far da padroni. Il ritmo e' piu' jazz/blues adesso, la chitarra elettrica finalmente riesce a trovare un po' di spazio; dopo un paio di minuti i tempi accelerano e il sax si lascia andare ad un motivo irresistibile. Il finale circolare riprende l'inizio. Mister Media vede invece un ritmo tribale, con percussioni e batteria in grande spolvero, i soliti fiati a dirigere il traffico e la voce che si infila alla perfezione. Non ci sono variazioni di sorta, la melodia e' indovinata abbastanza da poter essere trascinata per 3 minuti. Con Hole in the Future si chiude il lato A e si sente la prima lunga composizione, con i suoi 8 minuti. Il jazz/rock e' ancora molto forte e tutti gli strumenti, voce compresa, sono ben equilibrati e all'unisono, a comporre un motivo ancora una volta indovinato, per un inizio che colpisce subito. Il brano si arresta letteralmente dopo due minuti e parte un pezzo onirico e psichedelico trascinato dal flauto, con batteria, basso e sintetizzatore che rendono ottimamente un'atmosfera opprimente ed angosciante, per poi fermarsi e far ripartire il tema iniziale il quale, al contrario, e' sereno e rassicurante. A Night on Bare Mountain e' semplicemente un intermezzo di un minuto che riprende l'omonimo tema classico. Infine con The Blind Boy si arriva alla tanto anelata suite: 18 minuti di prog/jazz che cominciano con un tema abbastanza drammatico, trascinato dalla voce prima, dalle tastiere poi, allungato e dilatato, esplorato in ogni variazione possibile. Si sentono notevoli cambi di tempo e ottimi spunti strumentali in questa parte preliminare. La parte centrale vede invece un notevole solo di flauto che rende l'aria piu' rarefatta ed ovattata; ma e' solo un momento perche' ben presto il ritmo cambia ancora una volta e l'atmosfera diventa pesante e angosciosa mentre Les ricomincia a cantare, accompagnato da tastiere e fiati a rendere il tutto ancora piu' opprimente. La canzone si interrompe nuovamente come in Hole in the Future e la conduzione passa ora ai fiati, adesso meno tesi ma neanche tanto rilassati; si torna su sentieri piu' propriamente jazz, con il sax libero di svariare e basso e tastiere a ricamare. Gran finale con fiati sparatissimi. Nient'altro da aggiungere, un gruppo che meriterebbe piu' notorieta'.

domenica 26 settembre 2010

Waniyetula - Iron City 1971-78 (2006)

I Waniyetula (non ho idea di come si pronunci) sono stati una band tedesca attiva dal 1969 fino ai primi anni '80, e hanno avuto una storia a dir poco travagliata ed inusuale. Il loro primo album Nature's Clear Well era pronto nel 1975 ma la band impiego' tre anni per trovare una casa discografica disposta a curarne la diffusione, una label americana di cui non ricordo il nome, la quale cambio' il nome della band in Galaxy perche' questo fu giudicato piu' catchy. Tutto cio' senza avere il permesso della band che ovviamente non gradi' l'operazione. Quindi il pur buon album non e' riconosciuto prodotto dei Waniyetula. Costoro intanto nel 1976 avevano pronto un nuovo album, A Dream Within a Dream, basato sull'omonimo romanzo di E.A. Poe. Ma sfiga vuole che proprio quell'anno gli Alan Parson Project pubblicarono il famoso album Tales of Mystery and Imagination, anch'esso basato sullo stesso romanzo dello scrittore inglese e contenente una canzone proprio chiamata A Dream Within a Dream. Di conseguenza i poveri musicisti dovettero aspettare che il pubblico dimenticasse un po' l'opera degli APP e ritrovare una casa discografica che accettasse di pubblicare un disco che rimanda inequivocabilmente ad un altro disco la cui popolarita' risulta difficile da battere. Ci riuscirono nel 1983, quando ormai la band era sulla via dello scioglimento. Nel 2006 poi recuperano un po' di materiale live e in studio e pubblicarono questa raccolta di inediti chiamata Iron City, che abbraccia il periodo 1971-78, a mio parere loro miglior lavoro. I Waniyetula sono Heinz Kuhne a chitarra, voce e tastiere, il bassista Herman Beckert, il batterista Thomas Goerdten, Richard Kersten a chitarra acustica e voce, Norbert Abels alle tastiere. Nonostante le origini teutoniche, ad un primo ascolto la band potrebbe sembrare americana, per il sound infarcito di blues e psichedelia, psichedelia non in stile kraut ma molto piu' west coast, piu' un buon tocco di sinfonismo. I 7 pezzi che compongono l'album sono mediamente lunghi e molto simili fra loro, non e' musica aggressiva o che punta ad un ritornello indovinato, e' piu' musica d'atmosfera, melodie da viaggi fisici o mentali da cui e' molto facile (e piacevole) essere rapiti. Un album che necessita di numerosi ascolti prima di essere assimilato, a cuasa della natura free-form delle canzoni, ma come al solito ne vale la pena, perche' contiene perle di assoluta grazia, senza mai alzare la voce. Chiaramente non e' esente da momenti piu' sottotono, ma non abbastanza da minarne il giudizio positivo.

martedì 6 luglio 2010

Scaramouche - Scaramouche (1981)

Un altro degli aspetti piu' interessanti del prog e' che esistono un'infinita' di band sconosciute ai piu', band con un solo album all'attivo e poi scomparse nel nulla, band i cui membri sono stati per un attimo illuminati dalla migliore delle ispirazioni per poi tornare ad una vita "normale". Molto spesso questi album meteora non sono all'altezza dei classici progressivi, ma sono lavori interessanti e a volte di una insolita bellezza. Gli Scaramouche rientrano in questa categoria. Chi ha mai sentito parlare di loro? Eppure il loro album omonimo e' un bel miscuglio di prog rock classico, AOR ottantiano, blues e funk in certi frangenti. Le canzoni sono relativamente brevi e ben scritte, la prolissita' non e' un loro difetto e gliene sono particolarmente grato, il cantante e' dotato di un'ottima voce e capacita' di esecuzione, le tastiere e la chitarra si contendono gli spazi solisti, basso e batteria svolgono alla perfezione il loro compito. Gli Scaramouche vengono dalla Germania e sono Johannes Hofmann alle tastiere, Martin Hofmann al basso, Tommy Weber alla chitarra, Robby Stein alla batteria e Holger Funk alla voce. L'album si apre con la traccia migliore del lotto: A Cloud in the Sky possiede una melodia indovinatissima, la chitarra e le testiere si intendono alla perfezione, il ritmo e' sostenuto ma non velocissimo. Only Tail the Bait e' invece piu' lenta e intimista, il piano conduce con la voce lasciando spazio alla chitarra con un ottimo solo prima della fine; l'intento della canzone e' chiaramente strappare le lacrime all'ascoltatore, intento che non sempre va a buon fine, ma apprezziamo il tentativo. Clown Leaves Berlin cambia registro, con un piano molto boogie e il cantante che segue il difficile rapido ritmo di una canzone allegra e contagiosa. Of Room and Open Doors e' un breve brano drammatico e maestoso, trascinato quasi unicamente dalla voce di Holger e vaghi accordi di piano, molto carino nel ritornello, salvo un solo di synth a chiudere in maniera piu' ariosa. Find Me e' introdotto da ottimi arpeggi di chitarra, si sviluppa poi trascinato dalla voce e intrecci chitarra-tastiera, il pezzo migliore dopo la prima traccia probabilmente. Crentcantoe vira sul jazz con una stupenda introduzione di organo e chitarra, mentre il basso non sta a guardare; il ritornello riporta l'atmosfera sul pop-prog, molto stile Asia o UK, ma tutta la canzone ruota intorno all'indovinato riff di apertura, fra assoli di chitarra e momenti piu' dilatati. Isn't It Real e' la mini-suite (9 minuti) a concludere degnamente il disco nelle intenzioni della band, peccato non sia una delle suite piu' riuscite. Presenta buoni cambi di tempo e di umore, come si conviene, l'organo e la chitarra sono spesso molto intonati, pero' manca una degna ispirazione, il livello generale della composizione non va oltre la sufficienza. Peccato. A parte il finale un po' debole, Scaramouche e' certamente un album da riscoprire.

martedì 18 maggio 2010

La bella vita dei parlamentari

Io non e' che voglio essere polemico (beh in realta' contestare mi piace da matti), ma tutte le volte che si cercano le origini dei mali italiani queste sono inesorabilmente collegate ai governanti. Se fosse possibile spazzare via tutta la classe politica senza esclusione di colpi, e se la si rifondasse da zero, non avremmo che da guadagnarci. Numeri alla mano, copio e incollo due articoli apparsi oggi su repubblica.it (http://amato.blogautore.repubblica.it/2010/05/18/parlamentari-uno-stipendio-che-cresce-del-99-annuo/?ref=HROBA-1 http://www.repubblica.it/politica/2010/05/18/news/settimana_corta_parlamento-4143937/?ref=HREC1-4):

Tagliare lo stipendio del 5% ai parlamentari “è solo l’aperitivo”, assicura il ministro dell’Economia Tremonti, a Bruxelles per l’Ecofin. Ogni volta che si parla di tagliare i redditi dei rappresentanti politici aleggia nell’aria l’accusa di demagogia. Eppure, scorrendo le dichiarazioni dei redditi pubblicate ogni anno diligentemente dai giornali, o leggendo il dossier pubblicato oggi dal sito La voce.info, verrebbe da chiedersi: “perché no?”. Qualche dato: in Italia l’indennità parlamentare annua in termini reali è aumentata dall’equivalente di 10.712 euro del 1948 agli attuali 137.691, con un aumento medio annuo percentuale del 9,9. Nello stesso periodo negli Stati Uniti l’aumento medio annuo è stato dell’1,5%. Se pertanto fino agli ’80 i nostri parlamentari risultavano sottopagati rispetto a quelli statunitensi, successivamente si sono ampiamente rifatti. Peraltro i parlamentari italiani possono continuare a ottenere retribuzioni addizionali, oltre all’indennità parlamentare, mentre questo negli Stati Uniti è consentito in misura molto limitata.
Non solo. Un’analisi condotta sul reddito reale complessivo dei parlamentari delle XIII e XIV legislatura ha permesso di accertare che nel primo anno trascorso interamente in Parlamento, per chi ci arriva per la prima volta, il reddito medio aumenta del 69%. Con punte del 165 per cento per gli impiegati, e del 151 per cento per gli insegnanti, entrambe professioni a basso reddito. Sotto l’aumento medio i professori universitari (+25,9), gli avvocati, il cui reddito con lo stipendio di parlamentare registra un ‘modesto’ aumento del 50,8%, i magistrati (+51,8%), i medici (65,8%), i dirigenti della Pubblica Amministrazione (+62,5%) e i dirigenti aziendali (+65,6%).

Il fondo, a Montecitorio, si è toccato la scorsa settimana. Due sole sedute con votazioni, il martedì e il mercoledì, su un paio di ddl: un trattato internazionale e una norma di aiuti all'Africa. Giovedì mattina gli onorevoli deputati erano quasi tutti già a casa. Pigrizia dei parlamentari, forse, ma anche il governo ci mette del suo nel rallentare i lavori. Il provvedimento all'esame questa settimana alla Camera (Semplificazione dei rapporti tra burocrazia e cittadini) sembra sia stato talmente mal confezionato, come spesso accade, che cinque commissioni hanno mosso rilievi. Al Senato, per numero di provvedimenti approvati, sedute tenute e ore lavorate dall'inizio dell'anno va pure peggio.
Ancora una volta, è il presidente della Camera Gianfranco Fini a lanciare l'allarme. Lo fa nel corso della conferenza dei capigruppo, quando per l'ennesima volta i big della maggioranza gli chiedono di inserire in agenda un provvedimento con percorso d'urgenza. La terza carica dello Stato sbotta. "La settimana cortissima è un problema serio". Parla di situazione "intollerabile", prende ad esempio quanto avvenuto la scorsa settimana, quando l'aula è rimasta quasi ferma, sostiene che non si possono chiedere accelerazioni per ddl che poi si arenano nelle commissioni, quando addirittura non sono privi di copertura finanziaria. Con sorpresa del ministro (berlusconiano) ai Rapporti col Parlamento, Elio Vito, Fini apre una cartellina e inizia a snocciolare i dati di questa debacle solo in parte imputabile al Parlamento. In particolare, ricorda che dall'inizio della legislatura ben 29 volte i disegni di legge sono stati rinviati dall'aula alle commissioni: 19 provvedimenti del governo, 4 della maggioranza, 5 delle opposizioni.
Sul banco degli imputati finisce l'esecutivo che, complice le casse vuote, non invia alle Camere se non ddl di minima portata. Ma ci finiscono anche i parlamentari. Si parla di taglio al 5 per cento delle indennità, qualcuno si lamenta ("Solo propaganda alla Beppe Grillo" protesta Francesco Nucara, repubblicano del Pdl). Sta di fatto che, a prescindere dalle responsabilità, in Parlamento ormai si lavora davvero poco. In 19 settimane, ovvero dall'inizio dell'anno, a Montecitorio le ore d'aula sono state poco meno di 305, ovvero 16 per ogni settimana lavorativa. Che poi va dal lunedì pomeriggio (pochissimi sugli scranni) al giovedì. Le sedute sono state 60, ma è fallito il tentativo del presidente Fini di prolungare i lavori al venerdì. L'attività è quasi del tutto assorbita dai provvedimenti del governo. Su 40 approvati nel 2010, sono 23 i ddl governativi, 10 decreti e solo sette disegni di legge di iniziativa parlamentare.
Al Senato va anche peggio. Settimana "cortissima" ancor più a Palazzo Madama, dove non si è mai tenuta una seduta il lunedì o il venerdì. In un paio di occasioni il presidente Renato Schifani ha provato a richiamare i colleghi in altrettante conferenze dei capigruppo, ma tutto si è chiuso lì. E dire che per la Camera alta i numeri raccontano come dal primo gennaio si sono tenute sì 70 sedute, ma solo perché lì ne vengono calcolate due se quella mattutina si prolunga al pomeriggio. Tant'è vero che le ore lavorate risultano essere 179, in queste prime 19 settimane. Media invidiabile per qualsiasi lavoratore: 9 ore a settimana. E i progetti di legge approvati nel 2010 sono stati infatti 19, quindici di iniziativa governativa, ovvio, appena quattro parlamentare.
La pigrizia parlamentare, va da sé, non è una scoperta di questa legislatura e di questa maggioranza. Ma è anche vero che la situazione, dal 2008 ad oggi, è progressivamente peggiorata. Il ministro Vito, che a fine conferenza dei capigruppo ha preferito non commentare la sferzata di Fini, nel corso della riunione si è limitato a suggerire che le richieste di rinvio dei ddl in commissione vengano comunicate per tempo, in modo da consentire all'aula di proseguire il lavoro su altri provvedimenti. L'opposizione protesta, ma i numeri la costringono all'angolo. "Ormai discutiamo per due giorni di provvedimenti che possono essere esaminati in mezza giornata, giusto per dare un'apparenza di attività - racconta il vicecapogruppo Pd Gianclaudio Bressa - Decine di nostri ddl mai approdati in aula e una totale incapacità del governo di curare provvedimenti che non siano quelli che interessano personalmente il premier".

Facendo due conti, un parlamentare percepisce (escludendo tutte le cose che non paga, vedi Scajola) 137.691 euro l'anno, supponendo che lavori tutte le settimane, anche se so benissimo che non e' cosi', 16 ore a settimana per 52 settimane sono 832 ore l'anno, quindi gli stronzi beccano 165,50 euro all'ora. Sono loro in cancro dell'Italia.

lunedì 17 maggio 2010

Diablo Swing Orchestra - Butcher's Ballroom (2006)

La Diablo Swing Orchestra si forma nel 2003 a Stoccolma e il suo genere e' spesso definito avant-garde. Non so cosa voglia dire avant-garde, ma se volessimo definire il loro stile direi che mischiano il metal (heavy, gothic, prog) con la musica sinfonica e altri generi musicali come il boogie, il jazz, il flamenco, la musica orientale, quindi alla Diablo Swing Orchestra piace sperimentare, cercare nuove strade, contaminare, in altre parole fanno prog. Nel 2006 pubblicano il loro debutto cui segue un altro album nel 2009. I componenti della band sono Daniel Håkansson, chitarrista e cantante, Pontus Mantefors, chitarrista e tastierista, la magnifica Annlouice Loegdlund alla voce, Andy Johansson e' il bassista, Johannes Bergion al violino e violoncello, e Andreas Halvardsson alla batteria. La musica composta da questi sei individui e' imprevedibile e di difficile catalogazione, al gruppo non manca di certo l'originalita' e una forte personalita' nel proporre la loro forma. Non solo, la band presenta grandi capacita' di scrittura e di interpretazione. Se questo non fosse ancora sufficiente, tutto l'album e' dotato di una buona orecchiabilita' che rende l'orchestra del diavolo una delle migliori promesse della musica moderna. Con questo non voglio dire che l'album in questione sia un capolavoro accostabile ai grandi classici del prog, infatti a mio parere e' troppo lungo e in certe parti risulta un po' dispersivo, ma dobbiamo considerare che e' un disco d'esordio ed e' sempre molto difficile contenersi quando si vogliono mostrare tutte le proprie abilita'. Inoltre il genere proposto e' incline alle divagazioni e rischia di essere cervellotico e poco orecchiabile, ma i DSO evitano alla grande questo rischio e compongono un album solare, nonostante la base metal, e orecchiabile, che scorre via liscio e accattivante in ogni sua parte. I testi spesso colti e un look fra il rinascimentale ed il gotico elevano ulteriormente la caratura di questi mattacchioni scandinavi. Le origini della band sono a dir poco mitiche e non so quanto ci sia di vero: pare che nel 1500 esistesse in Svezia un'orchestra swing con testi inneggianti al satanismo, all'odio verso la chiesa e alla liberta' individuale. Questa band fu ben presto condannata dal tribunale ecclesiastico e mandata a morte, ma prima dell'ultimo concerto la band scrisse dei manoscritti contenenti le istruzioni per ricreare la loro musica, dopodiche' lasciarono i manoscritti ai loro eredi. Dopo 500 anni due di questi eredi (non ci e' dato sapere chi sono fra i sei componenti) ritrovano questi manoscritti e riformano la band. Le prime tre traccie sono riuscitissime e spiazzano immediatamente l'ascoltatore, dopodiche' l'album si assesta su livelli medio-alti, con buone punte di classe sparse qua e la', seppur, come detto, avrei preferito un lavoro piu' conciso. Balrog Boogie - come dice il titolo - e' un boogie su una base metal solida e potente, trombe, sax e violoncello stupiscono immediatamente l'ascoltatore e quando parte la voce di Annlouice si grida quasi al miracolo. Voce potente, pulita, altissima che qui recita dei modi di dire in lingua latina. La prima traccia centra immediatamente il bersaglio con un motivo orecchiabilissimo e una massiccia dose di originalita', i musicisti miscelano sapientemente boogie e jazz riprodotti dagli strumenti a fiato e metal riprodotto dalle chitarra, spaziando dal thrash al prog. Si prosegue con Heroins, che e' la traccia meno allegra. E' una canzone opprimente e scura, il loop basso-violoncello-batteria e' indovinatissimo e regge da solo tutta la canzone, la voce femminile e le chitarre arricchiscono ulteriormente un brano che mantiene alto il livello. Poetic Pittbul Revolutions (?) cambia ancora stile tingendosi dei colori accesi del flamenco: trombe e chitarre a palla, base metal sempre presente grazie alla sezione ritmica che mantiene il ritmo sempre rapido e piacevole. Ancora da menzionare la grandissima prova vocale della cantante. Rag Doll Physics e' invece la traccia piu' prog, infatti fa capolino un organo, con le chitarre thrashissime e la voce sempre in evidenza. Il livello cala leggermente ma dopo tre canzoni del genere era impossibile fare di meglio, ad ogni modo la parte cantata e' molto orecchiabile e la canzone e' molto varia e potente. D'Angelo e' una breve canzone che rimanda direttamente all'opera, infatti la protagonista principale e' la voce che cerca di avvicinarsi il piu' possibile alla musica lirica, mentre l'unico accompagnamento e' una chitarra acustica e qualche linea di basso. Qui Annlouice canta in italiano e ha un accento adorabile (T'Ancelo). Velvet Embracer riporta immediatamente alle atmosfere metal, soprattutto heavy e thrash, ma l'onnipresente violoncello colora il tutto con qualcosa di completamente imprevisto. Gunpowder Chant e' un altro breve pezzo, strumentale e trascinato nientemeno che da un didjeridoo, mentre le chitarre decorano il tutto con begli arpeggi fra il surf e la musica orientale (!). Infralove si attacca alla precedenete ma riprende il motivo di Velvet Embracer, proseguendo quel discorso tipicamente metal: la traccia continua a variare, fra violini, inserti elettronici e assoli di chitarra, e non e' neanche uno dei pezzi meglio riusciti. Wedding March for a Bullet presenta una base metal ancora di derivazione thrash, ma i violini e la voce elevano il pezzo avvicinandolo all'opera e alla musica sinfonica, mentre il ritornello cantato e' ancora qualcosa di sconvolgente, si pianta in testa per ore e Annlouice e' divina. Qualms of Conscience e' un intermezzo di un minuto per solo piano, giusto per non farsi mancare niente. Zodiac Virtues e' un'altra traccia in continua evoluzione, dove spunta anche un flauto; fra metal, prog rock e sinfonismi vari, forse e' la canzone piu' debole. Porcelain Judas ritorna su certe tematiche tipicamente orientali, mentre la sezione ritmica e le chitarre rimangono saldamente ancorate al metal; la voce e' ancora il valore aggiunto di una canzone stupenda, in grado di suscitare diverse e contrastanti sensazioni in 4 minuti scarsi di durata. In Pink Noise Waltz violino e chitarre tessono la trama di una degna conclusione pr questo bellissimo album, la voce principale stavolta e' quella di Daniel, il tema e' decadente e triste e quando interviene Annlouice ispessisce il pathos, ma accordi di piano cambiano totalmente l'atmosfera, adesso piu' calma e rilassata, per poi ovviamente riprecipitare nella drammaticita' con il ritornello. Ma le sorprese non finiscono qui perche' c'e' ancora tempo per il flauto che ci ricorda che sempre di prog si tratta, prima che la canzone e l'album si avviino verso una conclusione all'insegna del violino e delle chitarre. Un album stupefacente e imprevedibile, una boccata di ossigeno in tempi in cui proporre qualcosa di originale e' sempre impresa ardua.

domenica 9 maggio 2010

Italiani mi fate schifo

Come detto, sono in America da un po' di mesi, ma questo non mi ha impedito di tenermi aggiornato su cio' che sta avvenendo in Italia, ogni giorno. E tantomeno ha sopito la mia voglia di combattere. Ed e' paradossale che io sia piu' aggiornato su cio' che avviene nel mio paese di origine di tanta gente che in quel paese ci vive, e' paradossale che io mi senta violentato ogni giorno per come la classe politica tratta la gente che ancora si ostina a vivere in Italia piu' di quella stessa gente. Qualche giorno fa ho trovato questo bel post http://ilmiomanifesto.blogspot.com/2010/05/erano-meno-dannose-le-foreste-abbattute.html che ben spiega quello che accade in tante aziende italiane e ho pensato di mandarlo ad un mio amico per farglielo leggere. Questo mio amico fa il mio stesso lavoro, e' una persona intelligente e tutto ed e' uno di quelli che meglio possono capire cosa l'autore vuole dire. Beh, questo mio amico mi ha risposto "E' troppo lungo, mi fai un riassunto per favore?". Questo e' quello che succede in Italia. La gente ha perso l'abitudine a leggere, a tenersi informata, a capire cosa gli succede intorno e se vengono a mancare queste capacita' si e' in grado di ingoiare qualsiasi tipo di sopruso senza batter ciglio. Mi era venuta una gran voglia di rispondergli abbaiando "Vatti a vedere Maria De Filippi, coglione, che non meriti altro" ma mi sono trattenuto e gli ho solo detto che non mi da' la minima soddisfazione. Ieri ho mandato questa petizione http://www.petitiononline.com/bavaglio/petition.html per fermare il bavaglio che vogliono mettere alla stampa a tutti i miei contatti di Facebook, sono 178 persone. Stamattina vado a vedere se qualcuno ha firmato e ho trovato una, 1, firma. Gia' mi immagino le faccie scocciate delle persone che hanno letto l'email stamattina "Mamma mia questo sta proprio fissato con la politica. Ma fatti una canna, perche' ce l'hai tanto con berlusconi?". L'enorme protesta che sta avvenendo in Grecia non capitera' mai nel nostro paese, le gente e' imbalsamata, anestetizzata, instupidita. Come leggevo su un blog qualche giorno fa, se qualcuno prova a dire "Ragazzi andiamo in strada a dare fuoco a qualche banca?" la gente rispondera' "Stasera no, c'e' la finale dell'isola dei famosi big boobs edition". Allora tenetevi il vostro paese se vi piace tanto cosi', io ormai fra qualche mese diventero' americano a tutti gli effetti, quindi, cari italiani, andate a prendervelo nel culo, che e' la cosa che vi riesce meglio.

domenica 18 aprile 2010

Spooky Tooth - Spooky Two (1969)

Band appartenente all'underground inglese, gli Spooky Tooth non riescono mai a sfondare, e rimangono relegati nella scena alternativa per tutta la loro esistenza, persino oggi non sono molto conosciuti. Si formano nel 1967 dalla fusione di tre band, e nel 1969 si assestano con questa formazione: Mike Harrison a voce e piano, Luther Grosvenor a chitarra e voce, Greg Ridley a basso e voce, il quale abbandonera' alla fine delle registrazioni per andare negli Humble Pie, Mike Kellie alla batteria, il quale dopo il primo scioglimento del gruppo formera' i The Only Ones, punk band di discreta fama, e Gary Wright a voce ed organo. Ridley e' deceduto nel 2003. Si nota subito la presenza di due voci principali, e questa e' una caratteristica della band, il cui stile attinge molto dal soul e dal blues, a cui unisce elementi di psichedelia e hard rock. Le due voci si dividono le canzoni e risultano molto diverse fra loro (una baritonale e una in falsetto) ma non mancano gli episodi in cui cantano insieme. Ricordano un po' i Procol Harum per certi versi, grazie ad una certa orecchiabilita' dei motivi, anche se risultano piu' duri. Spooky Two e' il secondo album degli otto che la band pubblichera' e considerato il migliore da buona parte della critica. E' un album uniforme, senza canzoni che spiccano particolarmente sulle altre, scorre via liscio e piacevole. Il gruppo si scioglie l'anno successivo, per poi riformarsi nel 1972 e risciogliersi due anni dopo definitivamente. Il disco comincia con Waitin for the wind, che e' un classico rock blues trascinato dall'organo e dalla voce, con un'ottima linea di basso in evidenza. I riff di organo dettano il ritmo della canzone, subito maestosa la prova vocale. Si continua con Feelin bad che non cambia le carte: organo e voce ancora protagonisti, con la sezione ritmica in grande spolvero, e il ritornello indovinatissimo con la band che canta in coro. I've got enough heartaches completa il tiro iniziale prima di cambiare registro, infatti si tratta ancora di un blues vicino ai Procol Harum o Moody Blues, con un ritornello indovinatissimo a piu' voci. Con Evil woman, come detto, la band tenta una variazione e propone una traccia lunga 9 minuti, stavolta trascinata dalla chitarra prima di passare le redini all'organo; i due cantanti si alternano alla voce per poi cantare all'unisono, con la batteria grande protagonista della parte iniziale. Il ritmo si fa ripetitivo, insistente ed ipnotico nella parte centrale, salvo poi partire un grande solo di chitarra e ritornare sul motivo iniziale. Bellissima canzone. Lost in my dream continua con il tentativo di far sentire qualcosa di diverso e presenta un taglio decisamente piu' psichedelico sulla solita base blues, con la batteria martellante, i cori, la pesante linea di basso e una chitarra cangiante che ricordano certe atmosfere dei Jefferson Airplane. Canzone lunga e variegata, molto riuscita. That was only yesterday cambia nuovamente, passando ad un'atmosfera piu' calma, quasi folk, trascinata da una calda chitarra, dalla voce e dal piano. Traccia lenta ed accogliente. La parte finale del disco vira decisamente verso il rock piu' duro, anche se non si poteva ancora parlare di hard rock ai tempi. Infatti la traccia seguente, Better by you Better than me sara' ripresa dai Judas Priest che ne hanno fatto una cover tiratissima, e sara' protagonista di un curioso episodio giudiziario. Nel 1990 due ragazzini si tolsero la vita pare proprio ascoltando questa canzone e le famiglie decisero di portare il gruppo in tribunale per accusarlo di istigazione al suicidio. La band ha vinto la causa. Questa traccia, come detto, e' un rock'n'roll indurito con chitarra e basso protagonisti e un bell'intermezzo drammatico per organo e chitarra acustica. Hangman hang my shell on a tree rimane nei binari del rock piu' classico, stavolta rinunciando a sfumature piu' hard, ed e' dominata dalla chitarra acustica, ben accompagnata dalle percussioni e dalla voce. Il motivo iniziale e' riuscitissimo, in seguito rallenta decisamente e si lascia andare ad un solo di voce con leggeri arpeggi di chitarra, e poi ritorna sui propri passi riproponendo il bello spunto iniziale. L'album si chiude con Oh pretty woman (anche se esiste una versione con tre brani aggiunti che sono solo le single edit di alcuni brani), che non aggiunge niente di nuovo con il suo rock'n'roll classico trascinato da chitarra e voce. Un'altra meteora semisconosciuta dell'underground inglese, se ci fosse bisogno di ribadire l'incredibile prolificita' della scena britannica di fine '60 inizio '70.

sabato 13 marzo 2010

20 canzoni prog delle quali non potrete piu' fare a meno

Tante volte un album e' mediocre, altre volte e' pessimo, ma c'e' una canzone che, chissa' come mai, prevale sulle altre, risulta particolarmente ispirata e contrasta con tutto il resto. Capita. Quindi l'album in questione non entrera' negli annali e quella canzone passera' purtroppo inosservata. Non per un collezionista incallito come me. Ecco a voi le n canzoni prog provenienti da album non all'altezza della loro bellezza. Se vi va ascoltate anche l'intero album, se non vi va cercate direttamente la canzone, alcune di esse sono dei veri e propri gioielli.

Ataraxia - Cobalt (da Arcana Eco, 2005): Gli Ataraxia sono una band italiana attiva fin dal 1985 e dalle molteplici influenze, la loro musica e' un miscuglio di musica medioevale e rinascimentale, lirica, etnica, sinfonica, dark wave e canti gregoriani, che solo per comodita' e' inserita nel filone prog. Cobalt e' una traccia tristissima, carica di poesia e lirismo, decadenza e malinconia. La cantante Francesca Nicoli e' autrice di una prova maiuscola.
Completano la band Vittorio Vandelli alla chitarra, Giovanni Pagliari alle tastiere e Riccardo Spaggiari alla batteria.

Barrock - Guerra! (da Oxian, 1994): I Barrock sono un'altra band italiana, attiva dal 1982 al 1995, il cui stile e' un rock sinfonico debitore della musica classica, infatti la band nasce come trio vocale a cui si aggiunge prima una sezione ritmica poi una chitarra ed una tastiera. Il primo album intitolato L'alchimista e' molto carino e ne consiglio l'ascolto, ma la loro traccia migliore e' presente sul secondo. La cosa curiosa e' che tutti i componenti della band sono fra loro parenti, fratelli, sorelle, cugini, mariti e mogli, nipoti e cognati; si tratta di costoro: Valter Poles alla chitarra, Giuseppe Vendramin alle tastiere, Giampaolo Poles al basso, Maurizio Poles alla batteria, Graziella Vendramin alla voce e Paola Poles alla voce.

Blind Faith - Can't find my way home (da Blind Faith, 1969): I Blind Faith sono stati un supergruppo rock attivo solo per un anno, che ha pubblicato un bell'album omonimo, non un capolavoro, ma carino. Nascono da un'idea di Eric Clapton, chitarrista dei Cream, e Steve Winwood, tastierista dei Traffic, a cui si aggiungono Ginger Backer, batterista dei Cream, e Ric Grech, bassista/violinista dei Family. L'album non e' all'altezza dell'altissimo livello tecnico e del talento individuale dei quattro, ma alcune canzoni sono passate alla storia. Questa e' una di quelle. Il disco e' famoso anche per la copertina che all'epoca suscito' scalpore, raffigurante una ragazzina nuda che tiene in mano un aeroplano, da molti interpretato come un simbolo fallico (mah).

Balletto di Bronzo - Neve Calda (da Sirio 2222, 1970): Band che non ha bisogno di presentazioni, autori di due album molto carini come Sirio 2222 e YS, Neve Calda e' un classico del loro repertorio. Il primo nucleo della band, quello che suona in questa canzone, e' composto da: Marco Cecioni alla voce, Michele Cupaiolo al basso, Lino Ajello alla chitarra e Giancarlo Stinga alla batteria, in seguito Cecioni e Cupaiolo saranno sostituiti da Vito Manzari al basso e Gianni Leone, tastiere e voce, principale mente della band e tuttora al comando.

Family - Me my friend (da Music in a doll's house, 1968): Pezzo di storia del prog inglese, la musica dei Family e' particolare e inconfondibile. I primi due album sono sicuramente da ascoltare; questa traccia, estratta dal primo disco, e' condotta dalla potente voce di Roger Chapman, qui filtrata, e dalla tromba di Jim King, mentre il ritmo marziale e' dettato da Ric Grech, poi sostituito da John Wetton, al basso e Rob Townsend alla batteria. Completa la squadra Charlie Whitney a chitarra e tastiere.

Geddy Lee - Working at Perfekt (da My favorite headache, 2000): Geddy Lee e' il bassista dei Rush, e qui mi fermo. Ha pubblicato un album solista con alcune canzoni molto belle in cui fa valere le sue doti vocali e il basso e' spesso strumento principale, anche se tastiere e chitarra che suona egli stesso si ritagliano i loro spazi, inoltre si avvale dell'aiuto della chitarra e del violino di Ben Mink e della batteria di Matt Cameron, dai Soundgarden.

Idle Race - Days of broken arrows (da Back to the history, 1996): Gli Idle Race non erano una prog band, ma facevano parte della scena psichedelica inglese di fine anni '60, con Beatles, Kinks, Who e molti altri, la cui musica anticipa molti tratti che saranno poi elaborati ed accentuati dai gruppi inglesi progressivi. Del nucleo degli Idle Race facevano parte musicisti che poi formeranno i The Move e la Electric Light Orchestra. Di tutte queste band Jeff Lynne ne e' stato il leader, oltre a rivestire il ruolo di cantante, chitarrista e tastierista, in seguito protagonista di una brillante carriera solista. Altri componenti degli Idle erano Dave Pritchard alla chitarra, Greg Masters al basso e Roger Spencer alla batteria. Questa canzone e' presente sulla compilation Back to the history, si tratta di un brano scritto da Jeff Lynne in gioventu' e poi inserito nella raccolta.

Invisible - El anillo del capitan Beto (da Les jardin de los presentes, 1976): Gli Invisible sono stati una band di prog sinfonico argentina, autori di tre album mediocri nella meta' dei '70. La formazione era: Luis Alberto Spinetta a chitarra e voce, Hector Lorenzo alla batteria, Carlos Rufino al basso, Tommy Gubitsch alla chitarra. Canzone che vive dell'alternanza fra parti acustiche e parti elettriche ben trascinate dal basso, in un'atmosfera malinconica e calda.

Kinks - Autumn Almanac (da Something else by The Kinks, 1967): Stesso discorso fatto per gli Idle Race, con la differenza che i Kinks sono stati molto piu' importanti e prolifici. La loro discografia conta ben 23 album in studio, mentre il loro stile fara' scuola per tutti gli anni '70. La band era formata da Ray Davies, cantante, suo fratello Dave, chitarrista, il batterista Mick Avory ed il bassista Pete Quaife. I Kinks sono autori di brani che hanno fatto la storia del rock, come You really got me, Louie Louie o Lola, ma a me piace tantissimo questa, in un trionfo di cori, chitarre classiche e colori lisergici.

Kula Shaker - Fool that I am (da Strangefolk, 2007): Di tutte le canzoni che ho postato fin'ora, questa e' quella che preferisco (a pari merito con i Blind Faith). I Kula Shaker sono una band inglese autore di tre album fra il 1996 e il 2007, che uniscono a sonorita' tipiche del britpop musica indiana e psichedelia anni '60. Tutti e tre gli album sono bellini, ma questa canzone e' un gioiellino: melodica, commovente, con un grandissimo organo a fare da padrone. I componenti del gruppo sono: Crispian Mills a voce e chitarre, Alonza Bevan al basso, Jay Darlington, poi rimpiazzato da Harry Broadbent, alle tastiere, e Paul Winterhart alla batteria.

Love Sculpture - In the land of the few (da Forms and Feelings, 1969): Altro gruppo che cavalcava la corrente psichedelica di fine '60, i Love Sculpture pubblicano due album alla fine del decennio, e annoverano nelle loro fila il chitarrista Dave Edmunds, il bassista John Williams ed il batterista Congo Jones.

Moody Blues - The best way to travel (da In search of the lost chord, 1968): I Moody Blues non hanno bisogno di presentazione, tuttavia, per chi non li conoscesse, sono stati una band inglese blues prima prog poi, nati nel 1965 e attivi tutt'ora, che ha pubblicato l'ultimo album nel 1991 con buona continuita'. Il disco da cui e' tratto questo brano ed il precedente, Days of future passed, sono sicuramente i migliori per chi volesse conoscerli meglio. Questa canzone e' composta da una melodia indovinatissima che viene ripetuta due volte con una leggera variazione nella seconda parte, semplicemente ipnotica, si pianta in testa. I Moody Blues, nel nucleo piu' longevo, sono: Justin Hayward a voce e chitarra, John Lodge a voce e basso, Michael Pinder a tastiere e voce, Ray Thomas al flauto e Graeme Edge alla batteria.

Quatermass - Black Sheep of the Family (da Quatermass, 1970): Band culto del prog inglese, purtroppo autori di un solo discreto album, i Quatermass sono un trio tastiere-basso-batteria con forti tinte hard. I musicisti sono Peter Robinson, tastiere, John Gustafson, basso e voce, che poi andra' a suonare nei Roxy Music, e Mick Underwood, batteria, e questo pezzo e' una sorta di classico progressive, ripreso anche dai Rainbow di Richie Blackmore e Ronnie James Dio, in una versione hard tiratissima.

Raw Material - Empty Houses (da Time is..., 1971): Band hard-prog di inizio '70, autori di soli due album nel 70-71, ascoltati entrambi e niente di eccezionale. Ma questa canzone lo e'. Trascinata da una chitarra indiavolata e una voce impazzita, parte con una intro lenta per chitarra per poi decollare e viaggiare a mille, arrestarsi nuovamente e quindi ripartire, con tanto di fiati ed organo ad arricchire il tutto. Il gruppo e' composto da Colin Catt, voce e tastiere, Mike Fletcher, sax e flauto, Dave Green, chitarra, Phil Gunn, basso, Cliff Harewood, chitarra, e Paul Young, batteria.

Roxy Music - Do the Strand (da For your pleasure, 1973): Un altro gruppo che non necessita presentazioni, band nella quale hanno militato il sintetizzatorista Brian Eno, il cantante tastierista Bryan Ferry, il chitarrista Phil Manzanera fra gli altri, il sassofonista Andy Mackay, il batterista Paul Thompson ed un manipolo di bassisti, fra cui Graham Simpson, John Gustafson e l'immancabile John Wetton. Inoltre un giovanissimo Eddie Jobson esordi' proprio in questa band sostituendo Brian Eno quando costui decise di intraprendere la carriera solista. Etichettati con troppa fretta come band glam, accostati spesso a David Bowie con il quale hanno poco da spartire, i Roxy Music partono certamente dal prog per prendere una direzione del tutto personale, grazie alla chitarra blues di Manzanera, l'incedere pianistico e la voce di Bryan Ferry e la schizofrenia di Brian Eno prima, il violino elettrico di Jobson poi, sono stati precursori della scena New Wave e Synth-Pop degli anni '80 e una delle piu' importanti band del rock. Pero' a me non piacciono particolarmente.

The Nice - Diary of an empty day (da The nice, 1969): il tastierista Keith Emerson fondo' questa band, rimasta chiaramente negli annali, nel 1967 con il bassista Keith Jackson, il batterista Brian Davison, ed il chitarrista David O'List, fatto fuori dopo appena due album con l'ego di Keith che avanzava. La carriera del gruppo finisce di fatto nel '71, dopo un album dal vivo senza Emerson e una raccolta di canzoni scartate dai precedenti dischi. I due Nice superstiti cercarono di sfruttare la fama riflessa del loro ex-leader formando i Refugee con Patrick Moraz, contribuendo di fatto a lanciare il tastierista che abbandonera' il gruppo per unirsi agli Yes, sancendo cosi' la fine di ogni velleita'. Ogni album si lascia ascoltare piacevolmente, pur presentando ovvie ingenuita' e limiti dovuti al non eccelso livello tecnico dei musicisti, ad eccezione di Keith chiaramente. Questa e' a mio parere la canzone meglio riuscita.

The Mickey Finn - Garden of my mind (dal 45 giri omonimo, 1967): Altro gruppo della corrente psichedelica inglese, i Mickey Finn sono abbastanza sconosciuti, infatti non so dirvi molto, se non che non sono mai riusciti a pubblicare un album, e si narra che Jimmy Page ne abbia fatto parte per qualche tempo. Questa canzone e' un'esplosione di psichedelia e chitarre hendrixiane, tutta da godere.

Tomorrow - My white Bicycle (da Tomorrow, 1968): Altra band storica a cavallo fra la psichedelia tardo 60 e i primi vagiti prog di inizio 70, ha avuto il merito di lanciare nell'olimpo musicale il chitarrista Steve Howe, che andra' negli Yes, ed il batterista John Alder, per tutti Twink, che formera' i Pretty Things ed i Pink Fairies. Gli altri musicisti sono il cantante Keith West ed il bassista John Wood, detto Junior. Il loro unico omonimo album e' molto piacevole, e contiene altre belle canzoni oltre a questo affresco pop psichedelico.

Wicked Minds: Band italiana nata nei primi anni del 2000 da alcuni musicisti che suonavano thrash metal nei '90, di questi ragazzi non riesco a scegliere una canzone che prevalga nettamente sulle altre. Le canzoni che mi piacciono sono tre: From the purple skies, Here comes the king e Burning Tree, ma purtroppo non sono ancora riusciti a scrivere un album che si possa considerare "della maturita'". Lo attendo con ansia. Intanto consiglio di ascoltare i loro tre dischi in studio. Dei Wicked Minds fa parte il talentuosissimo tastierista Paolo Negri detto Apollo, che sta rapidamente diventando una celebrita' negli ambienti italiani, che conferisce al sound quel tocco hard settantino che ricorda tanto Uriah Heep e Deep Purple. Gli altri musicisti sono il bravissimo cantante J.C., il chitarrista Lucio Calegari, il bassita Enrico Garilli ed il batterista Andrea Concarotti. Auguro loro tutto il successo che meritano.

lunedì 1 febbraio 2010

Pentacle - La Clef Des Songes (1975)

I Pentacle sono stati una one shot band dalla Francia e una mia recente scoperta, a dimostrazione che esistono ancora tante tante band oscure che aspettano solo di essere scoperte e spolverate. Il prog in Francia ha stentato inizialmente ad attecchire, questo a causa della ben nota riluttanza dei francesi a qualsiasi novita' proveniente dall'estero. Basta dire che pochissimi gruppi transalpini cantano in inglese. Ma proprio per questo, una volta assimilati i modelli anglosassoni, i francesi hanno cominciato a fare prog a loro modo, apportando sincere novita' al genere. I due gruppi principali sono i Magma, inventori di uno stile personale che taglia completamente con l'esperienza delle band albioniche, e gli Ange, piu' orientati verso un Genesis-sound ma molto influenzato dalla musica popolare locale e dagli Chansonier. La band di cui mi accingo a parlare attinge molto dai modelli inglesi invece, pur personalizzando parecchio il proprio sound. I Pentacle si formano a Belfort nel 1971 e sono formati da Claude Menetrier ad organo, moog e piano, Michel Roy a batteria e voce, Gerald Reuz a voce, chitarra elettrica ed acustica, Richard Treiber a basso e chitarra acustica. Il loro stile e' caratterizzato da arie inquiete, spesso tristi se non tragiche, in cui la chitarra elettrica fa da padrone, con un canto sottile ma molto presente, tastiere che sullo sfondo creano tappeti carichi di pathos e decadenza, sezione ritmica precisa e ben udibile. La band francese deve molto alla lezione dei King Crimson, soprattutto quelli romantici e decadenti del primo album, il cui stile chitarristico e' spesso imitato, come anche le emozioni che il gruppo vuole comunicare. La Clef Des Songes e' stato registrato in appena 8 giorni ed inizia con la title-track, la quale si apre con una chitarra elettrica subito tragica e corposa, che si alterna al canto accompagnato dalle tastiere, a creare un'atmosfera tesa e malinconica. Nella parte centrale tastiere e chitarra condividono un bellissimo assolo per poi tornare sulle note iniziali. Un ottimo brano di apertura, la band dichiara immediatamente le proprie drammatiche intenzioni. Naufrage prosegue sulla stessa falsariga, con folate di vento e una chitarra tristissima; quando poi irrompe il canto la chitarra diventa acustica e l'aria ancora piu' decadente. Ben presto la traccia prende forma intorno ad un indovinatissimo e struggente ritornello cantato. La chitarra elettrica ripete il suo lavoro di ricamo nella parte centrale per poi tornare sui propri passi secondo uno schema collaudato, anche se stavolta la band ci regala una variazione in coda che rende la traccia un pochino piu' movimentata. L'ame Du Guerrier e' stavolta introdotta dalle tastiere con la chitarra che si accoda nell'accompagnamento; quando parte il canto, col morale sottoterra tanto per cambiare, Gerald imbraccia ancora l'acustica, mentre basso e batteria si fanno sentire con decisione. Nella parte centrale vi e' un'altra volta un'escursione strumentale, con tutti e quattro i musicisti che ci danno dentro alla grande, mantenendo l'atmosfera tesa ed oscura nonostante le numerose variazioni tematiche. Uno stupendo assolo di chitarra eleva ulteriormente una delle canzoni piu' belle di questo disco. Les Pauvres comincia con l'acustica in evidenza ad accompagnare il canto, senza altri strumenti a parte un leggero mellotron. I Pentacle sono ancora una volta bravissimi nel suscitare nell'ascoltatore sentimenti come angoscia, sgomento, malinconia. In seguito attacca la chitarra elettrica con batteria e basso, ma e' solo un attimo, poiche' la traccia torna sui suoi binari acustici e si trascina cosi' lentamente verso la sua tragica conclusione. Complot e' un brano leggermente piu' arioso, aperto e corposo, anche se il morale non si solleva molto ascoltando la tristissima voce di Gerald. Il motivo e' sempre stupendo in tutto il suo lirismo, basso e batteria si ritagliano il loro spazio, la chitarra ci fa' dono di un altro splendido assolo, per una canzone che tenta qualche variazione senza pero' mutare l'atmosfera opprimente che permea tutto il disco. Le Raconteur e' la traccia finale e anche la composizione piu' lunga con i suoi 10 e passa minuti. Se vogliamo e' una summa di quanto fatto sentire finora, solo che stavolta c'e' piu' tempo per sentire qualche cambio di tempo e di tema, e infatti ce ne sono a palate. A tratti la canzone diventa persino veloce, in ogni caso sempre stupenda. La Clef e' un album bellissimo, carico di poesia, tenebre e melodia, anche se questa e' spesso malata e cupa. Il cantato in francese dona ulteriore fascino.

venerdì 29 gennaio 2010

Schema, questo sconosciuto

Primo post per parlare un po' di calcio. Mi sono reso conto che i motivi per cui scrivo un post sono essenzialmente due: per recensire un album che mi e' piaciuto o perche' ho qualcosa di cui lamentarmi. E questo post non fara' eccezione. So che lamentarmi di persona con le persone mi rende alquanto noioso, soprattutto perche' a nessuno frega niente del calcio nel posto in cui mi trovo, probabilmente l'unico paese sulla terra dove alla gente non interessa il calcio, quindi usero' il mio utile all'occorenza blog per esternare tutto il mio disappunto. A memoria d'uomo non ricordo un periodo peggiore per la mia squadra del cuore, la Juventus, ormai decaduta e precipitata in un baratro senza fondo. Anche il periodo pre-Lippi, quel fine anni '80 inizio anni '90, la Juve e' stata spesso seconda, ha vinto una coppa Italia e due coppe UEFA, inoltre c'era il Milan targato prima Sacchi e poi Capello contro il quale c'era ben poco da fare. 9 sconfitte nelle ultime 12 gare ufficiali sono un bilancio che non credo sia mai comparso nella storia di questa squadra. Molti imputerebbero le cause di questa disfatta all'allenatore, ed e' proprio quello che faro' anche io. Essere eliminati dalla coppa Italia per mano dell'Inter ci puo' stare, quello che non ci sta e' quello che ho visto oggi, e tante altre volte, in campo. Il secondo tempo la Juve era persa, confusa, allo sbando, sembrava non avere schemi ne' direttive. E questa situazione si e' ripetuta parecche volte. Bel gioco non lo si e' visto mai quest'anno, le poche vittorie sono scaturite per demeriti degli avversari, per qualche giocatore che era particolarmente in vena (Diego), o perche' la squadra era eccezionalmente motivata, dio solo sa perche' (vittorie contro Inter e Samp). Ma, appunto, la vittoria e' sempre stata un'eccezione quest'anno. Nel calcio, si sa, il primo a pagare e' l'allenatore, e allora come mai questo non capita nella Juve, dove, una volta tanto, e' veramente colpa dell'allenatore? E' facile dare le colpe all'allenatore direbbero alcuni. Bene, io dico che e' veramente colpa di Ferrara stavolta. Non a caso Diego una volta ha detto "Pero' Ferrara ci deve dire cosa fare", esternazione alquanto insolita per un giocatore. Al di la' del fatto che il gioco non c'e' mai stato, poiche' si sa che il gioco e' sempre molto difficile da raggiungere, quest'anno la Juve non e' mai sembrata disporre di una tattica, un metodo di gioco, uno straccio di schema. Ah, bei tempi quando c'era Lippi e gli schemi c'erano, funzionavano e talvolta portavano al gol. Ferrara ha cambiato modulo almeno 4 volte quest'anno, e questo vuol dire che non ha mai avuto un'idea chiara sul da farsi. Spesso ho visto giocatori pestarsi i piedi in campo, occupare la stessa zona, per non parlare della gestione delle sostituzioni, a dir poco disastrosa. Ah, bei tempi quando c'era Lippi, faceva due cambi e la squadra cambiava e vinceva. Inoltre non sembra essere un granche' neanche come psicologo, come motivatore, spesso la squadra e' andata al riposo in svantaggio e nel secondo tempo ha giocato peggio che nel primo. La Juve, anche nei momenti peggiori, ha sempre potuto contare sul suo proverbiale spirito di squadra, quella mentalita' che ha fatto in modo di competere e vincere contro squadre ben piu' forti (vedi Inter e Real Madrid). Ma quello spirito di gruppo pare essersi competamente perso. Insomma, mi sa che Ciro tanta stoffa non ne abbia. E' vero che e' giovane, non ha esperienza eccetera, ma allora che cazzo ci fa sulla panchina della Juve? E' inevitabile a questo punto prendersela con la dirigenza, in grado di cacciare Ranieri, allenatore navigato, perfetto gentiluomo come lo stile Juve impone, che stava anche facendo molto bene con una squadra non all'altezza della serie A a mio parere, e di mettere un completo novellino alla guida della squadra piu' importante d'Italia. E' vero che c'e' il progetto Lippi, il quale dovrebbe arrivare dopo i mondiali, ma allora, se si voleva solo far passare l'annata, perche' si e' dovuto cambiare allenatore? Ad ogni modo, visto che la dirigenza non si puo' dimettere in blocco, a questo punto e' chiaro che il da farsi e' solo e semplicemente mandare via Ferrara, la cui unica colpa e' probabilmente quella di essere troppo giovane ed inesperto. Potrebbero ricorrere al secondo allenatore, all'allenatore delle giovanili, a chiunque, sarebbe sicuramente meglio di Ciro. Senza rancore.

domenica 10 gennaio 2010

Gerard - Gerard (1984)

Il prog giapponese non e' particolarmente interessante. Ha saputo sfornare innumerevoli band in qualsiasi era, tutte molto dotate tecnicamente, prolifiche, longeve, coese ma, ahime', completamente carenti dal punto di vista dell'innovazione e della fantasia. Le prog band giapponesi presentano molto spesso uno stile molto derivativo, rifacendosi ai modelli inglesi e italiani, infatti il prog nostrano e' apprezzatissimo nella terra del sol levante, come anche tutta la nostra cultura. Lo stile piu' imitato e' il jazz/prog e la fusion, oggigiorno esistono centinaia di band giapponesi dedite ad un'ardua quanto sterile fusion, mentre altre si dedicano al RIO o allo Zehul, a questo proposito cito l'interessantissima band dei Koenjihyakkei (addirittura tre donne in formazione) con il bellissimo Live at Doors, meno numerose sono invece quelle dedite al prog romantico-sinfonico, lo stile che piu' soddisfa i miei gusti. Sara' un fatto di cultura, i giapponesi non sono conosciuti come popolo passionale e romantico, sono piuttosto famosi per essere meticolosi, puntigliosi, organizzati, come ogni musicista di stampo jazz ha bisogno di essere. La cosa che mi stupisce e' che in ogni caso il popolo giapponese si e' dimostrato ricco d'inventiva nel campo della tecnologia, delle arti figurative, della culinaria volendo, mentre e' totalmente povero di idee musicalmente parlando. Le band piu' famose sono gli Shingetsu, veri e propri pionieri del prog made in japan, coloro che hanno importanto nella loro terra i modelli anglosassoni, poi ci sono i Kenso, i Tipographica, i Bi Kyo Ran, gli Ain Soph, i Pageant, i Social Tension, i Mugen, gli odierni KBB, tutte brutte copie delle migliori band Jazz/Fusion albioniche. I Gerard invece si ispirano soprattutto ai Genesis e tentano di emularne lo stile, pur mantenendo chiari tratti personali come la voce, per niente gabriellana, il cantato in lingua madre, lo stile piu' hard e alcuni caratteri ispirati al folk e alla musica tradizionale giapponese, cosi' da non risultare dei cloni della band del Kent di cui e' pieno il mondo. Il gruppo viene fondato all'inizio degli anni '80, quindi in pieno periodo revival, dal tastierista Toshio Egawa che lasciava i Novela, il cui look androgino e' chiaramente ispirato ad Eddie Jobson, come anche lo stile tastieristico, che pero' cerca di attingere anche dai mostri sacri Wakeman ed Emerson, riuscendoci a volte. Con lui ci sono il cantante e chitarrista Yukihiro Fujimura, il batterista Masaharu Sato, il percussionista Masaki Tanimoto, mentre si alternano al basso Yohei Kawada e Yasumasa Uotani, e con questa band danno alle stampe il disco omonimo di esordio nel 1984. Con questa stessa line-up il gruppo pubblica un secondo album l'anno seguente, meno riuscito, e poi si scioglie ma si riforma all'inizio degli anni '90 con il solo Egawa piu' una sezione ritmica, cambiando quindi stile verso un prog tastieristico che fa anche a meno della voce, perdendo via via ispirazione con il passare degli anni. Gerard e' a mio parere un ottimo album, in equilibrio fra reminescenze del passato e innovazione, prog di maniera e proposte personali, pesanti arrangiamenti sinfonici e hard rock melodico. Egawa mostra tutto il suo talento e la sua vena compositiva, mentre Fujimura si dimostra un ottimo chitarrista che sa tenere la scena con personalita' quando e' lui il protagonista principale, oltre ad essere un cantante ispirato. L'album comincia con Meridian, breve traccia di introduzione, inizia con un bel riffone di chitarra subito accompagnata dal sintetizzatore, e continua cosi' per tutta la sua durata, con pregevoli intrecci chitarra-tastiere, arrangiamenti curati e batteria in evidenza. La seconda, Orpheus, comincia anch'essa con un pregevole assolo di chitarra che poi lascia il posto alla voce accompagnata da leggeri tocchi di tastiera interdetti da belle schitarrate creando un'atmosfera vagamente malinconica; in seguito la canzone cambia completamente: l'aria si fa cupa, opprimente, la chitarra viaggia alla grande mentre le tastiere la sostengono corpose ma mai invadenti, per poi sterzare nuovamente verso il tema iniziale, stavolta ancora piu' struggente ed enfatico, con una gran prova vocale. Un solo di pianoforte chiude piacevolmente il brano. Incantation e' un'altra lunga traccia che comincia con una melodia vocale molto accattivante accompagnata da incantevoli accordi di piano; questa parte ricorda molto le tipiche canzoni j-rock, in particolare quelle dei cartoni animati, soprattutto quando il sintetizzatore prende il comando. L'atmosfera cambia e diventa decadente, triste, un indovinatissimo riff viene ripetuto a turno dalla chitarra e dalle tastiere, che si scambiano ancora una volta la scena in continuazione passando in primo o in secondo piano con grande effetto. La canzone ora gioca sull'alternanza della prima parte con la seconda, scelta che mi ha molto colpito. Lasting Memory e' secondo me il pezzo meno bello: comincia con un cantato eccessivamente tirato accompagnato dalle tastiere, per poi evolvere in una melodia ancora condotta dalle tastiere e con il basso in evidenza, il problema e' che questa melodia non e' particolarmente ispirata, pur presentando pregevoli cambi di tempo. Revenge e' una breve traccia in cui Egawa fa parecchio lo sbruffone, andando a tremila sui tasti, ma questa sbruffonaggine non e' fine a se stessa perche' ben presto la canzone prende una propria direzione e si assesta su un giro tastiere-chitarra ancora una volta molto piacevole. Melting Time e' un'altro brano lungo con una intro per sola voce, leggeri tocchi di piano e basso, la lingua giapponese dona un tocco decisamente esotico a questo incipit. Lentamente la canzone incalza e si fa piu' piena, mentre il cantante non smette di ripetere il bel ritornello iniziale, anche se non saprei dire se le parole sono le stesse. Ma a meta' la situazione cambia: lo stile si indurisce e parte un assolo di synth spaziale tiratissimo, mentre la chitarra non sta a guardare e dice subito la sua, batteria e basso accompagnano alla grande. Le sorprese pero' non finiscono qui, infatti dopo un po' parte un orecchiabilissimo solo di chitarra che cambia ancora una volta atmosfera, stavolta piu' rocchettara e melodica, infine il synth conclude il pezzo riprendendo il bel tema di chitarra. Visionary Dream e' un brano molto melodico, con la voce principale protagonista, mentre chitarra, tastiere e batteria si dividono bene la scena alle sue spalle. La lingua giapponese arricchisce ancora una volta il brano. Midnight Dreamer, la traccia conclusiva, e' una canzone carina, nulla piu'. Un bel disco di prog giapponese, se vi piace il genere procuratevelo.