sabato 30 aprile 2022

Palass - Private Property (1981)

Album raro e sconosciuto ai piu', pubblicato solo in Portogallo e spesso catalogato come appartanente al genere metal per motivi inspiegabili, e' un lavoro ottimo, eclettico, orecchiabile e movimentato. Si tratta per lo piu' di heavy prog con leggere tinte sinfoniche e blues, tendente al rock'n'roll per tutta la durata del disco, che non raggiunge neanche i 40 minuti, e che presenta canzoni concise e catchy, regolari nella struttura, le cui poche variazioni sono rappresentate dagli assoli di chitarra e dai piu' rari soli di tastiera. Seppur non vi sia molta variazione all'interno delle canzoni, ve n'e' molta all'interno dell'album: i Palass riescono nel difficile compito di scrivere 8 canzoni che non si assomigliano per niente fra di loro, ma che rimangono comunque circoscritte nello stesso stile musicale. E se vi piace quello stile musicale, vale a dire l'heavy prog, quest'album e' un gran sentire. E' persino difficile scegliere una canzone che prevalga sulle altre, o individuarne una un po' piu' debole.

I Palass vengono da Charleroi, Belgio, ed oltre al lavoro in questione hanno prodotto un altro album, completamente heavy metal, verso la fine degli anni '80; per il resto non si sa molto, e' una band alquanto avvolta nel mistero. La formazione e' composta da Daniel Duvieusart alla voce, molto alta e particolare, Williams Duncker al basso, Christian Hance alla batteria, Jean-Claude Manderlier alla prima chitarra, Thierry Servais alla seconda e Bernard Cambier, che suona le tastiere.

L'attacco del disco e' affidato alla title-track: spicca subito la voce pulita, cristallina, angelica di Daniel, a meta' fra Jon Anderson e David Byron, e l'indovinata ritmica su cui poggia l'intero brano, il quale ha giusto bisogno di qualche ricamino fornito dalle chitarre e dalle tastiere; canzone veloce (tutte le tracce del disco variano fra i tre ed i sei minuti) e piacevole, chiusa da un ottimo solo di chitarra. Si prosegue con Black Tree, una delle canzoni migliori, aperta da strimpellate di chitarra che ne definiscono lo stile, quasi danzereccio, accompagnate dall'ottima voce e da un bel refrain di basso; ancora una volta traccia breve e concisa, rapida ed allegra, con indovinati spunti di tastiere ed un altro assolo di chitarra, stavolta a meta' canzone. Si arriva cosi' alla prima traccia lunga, che si apre ricordando vagamente una ballad, ma per poi prendere ritmo e decollare: la maggior parte del lavoro e' affidato alle chitarre, che disegnano intricate melodie e si intrecciano a meraviglia; su tutto cio' spicca ancora una volta la voce. Le tastiere si ritagliano uno spazio importante in questa canzone, contribuendo a cambiare ritmo dopo un paio di minuti, ed a descrivere atmosfere quasi space; il brano torna cosi' sui binari di partenza e cio' e' probabilmente la cosa piu' audace che si senta in tutto l'album; la coda sfoggia poi un'ultima variazione sul tema, anche questa di grande qualita'. La quarta traccia, Action, parte ancora a razzo, con chitarre e tastiere che duettano e duellano, batteria e basso in gran spolvero, per un'apertura veloce ed avvolgente; il brano frena dopo un minuto e mezzo quando incombe la voce, diventa piu' spigoloso e ruvido, salvo poi ri-accelerare e cambiare ancora una volta ritmo e melodia; forse la canzone piu' progressiva, comunque contenuta in quasi 5 minuti di durata, questa roba mi piace da morire. La traccia successiva, F.A.B., e' probabilmente quella piu' hard, che infatti parte forte con un giro di chitarra grasso e grosso, sembra di ascoltare qualcosa degli Uriah Heep; ritornello che piu' catchy di cosi' non si puo', il brano non ha bisogno di grandi cambiamenti e i brevi soli di chitarra fanno il resto. Si arriva cosi' ad Hurricane, la cui intro ricorda ancora una ballad, e infatti di ballata si tratta in questo caso, come si nota dal tono della voce e dall'atmosfera generale che permea tutta la canzone, ad eccezione del ritornello: un fantastico dialogo fra la chitarra ed il basso, con la voce ad accompagnare, descrivono un motivo orecchiabilissimo che si pianta in testa; un assolo di chitarra si occupa questa volta della chiusa. E' la volta di Going to the War, dove il ritmo e' stavolta dettato da un bel riff di tastiere, con la solita voce ed un bel basso robusto a completare la melodia; quando poi subentrano le chitarre la canzone decolla definitivamente, ed e' un gran bell'ascoltare; traccia che non si fa mancare niente, fra i soliti assoli di chitarra, richiami all'incipit ed altre acrobazie circolari. Chiude Walking on a Dream, la canzone piu' lunga e piu' atmosferica, non eccessivamente veloce come le altre, e con un bel tappeto di tastiere a descriverne gli sviluppi; canzone che conta su strappi, interruzioni, accelerate e decelerate per rimanere interessante per tutta la sua durata, e direi che il sestetto dal Belgio ci e' riuscito molto bene.

Non chiedetemi come sono venuto a conoscenza di quest'album, il bello dell'internet e' che ti puoi imbattere in letteralmente qualunque cosa, se cerchi abbastanza in profondita'. Album incredibilmente sottovalutato, a mio modesto parere se la gioca con tanti altri lavori molto piu' famosi ma non di altrettanta qualita'. La mia ricerca musicale non avra' mai fine e cio' mi aiuta a sopportare il peso della realta' quotidiana.

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