lunedì 2 marzo 2009

Banco del Mutuo Soccorso - Io sono nato libero (1973)

Io sono nato libero è il terzo album del Banco e quello che li consacra definitivamente come uno dei gruppi di punta del prog italiano, è probabilmente il loro album migliore e punto di non ritorno della loro produzione, infatti non riusciranno mai più a toccare vette di classe così elevate. La formazione è la stessa dell'esordio ad eccezione del chitarrista Rodolfo Maltese che ha sostituito Todaro, ma ciascun componente è molto cresciuto nel frattempo, la line-up ha trovato maturità ed intesa, soprattutto il più giovane dei fratelli Nocenzi, Gianni, che qui debutta come compositore, mentre Vittorio ha preso piena padronanza del sintetizzatore. Il lavoro è composto da una lunga suite sulla prima facciata e quattro tracce più brevi sulla seconda, ed è ricco di contenuti politico-sociali: la suite, intitolata Canto nomade per un prigioniero politico, è dedicata al golpe avvenuto in Cile quell'anno e descrive la sofferenza del condannato a morte; la terza traccia La città sottile parla dell'alienazione indotta sull'uomo dalle grandi città, mentre la quarta Dopo... niente è più lo stesso torna sul tema della guerra. Canto nomade comincia in sordina con la bellissima voce di Di Giacomo su un tappeto di pianoforte, placida e tranquilla, ma prende via via vivacità e nella sua interezza risulta un calderone di suoni nuovi, improvvisazioni, virtuosismi e fughe: c'è la psichedelia delle tastiere, che dominano per la maggior parte del brano, percussioni tribali o distorte, chitarra acustica a mo' di flamenco e chitarra distorta, su tutto la possente voce del cantante. Traccia bellissima, da ascoltare attentamente, da gustare in ogni sua variazione. La seconda canzone è la più famosa del gruppo e la più orecchiabile: Non mi rompete è una pop song raffinatissima che cela un significato profondo: il protagonista non vuole essere svegliato per non dover affrontare la sua terribile realtà ("non mi svegliate, ve ne prego, ma lasciate che io dorma questo sonno, c'è ancora tempo per il giorno, quando gli occhi si imbevono di pianto"). A parte ciò, il motivo è stupendo, pieno di grazia e contagioso. La città sottile, scritta interamente da Vittorio, è la traccia più cupa e tetra del disco: accordi agghiaccianti di pianoforte introducono il tema, che si sviluppa su un ritmo irregolare e di difficile esecuzione, mentre Francesco canta di un incubo metropolitano con toni estremamente ironici. Avanguardia, sperimentazione, tendenze oniriche; traccia complicata che necessita di qualche ascolto per essere apprezzata, ma ne val la pena. La quarta traccia racconta della disperazione di un soldato che torna dalla guerra alla vista della sua città ridotta in macerie e soprattutto lacerato da ferite emotive post-belliche; gran lavoro dei due tastieristi per una canzone che commuove, con liriche di netta condanna della guerra ("lingue gonfie pance piene non parlatemi di libertà, voi chiamate giusta guerra ciò che io stramaledico"). Infine chiude il disco Traccia II, speculare a Traccia sul primo album: una cavalcata barocca neoclassicheggiante per pianoforte ma ancora più bella nella sua brevità. Un album perfetto, che regge tranquillamente il paragone con i capolavori del prog inglese, impeccabile dal punto di vista lirico e compositivo.

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