giovedì 7 maggio 2015

Slapp Happy - Sort Of (1972)

Non ci sono limiti alla capacita' espressiva del prog rock, i suoi confini labili e sfocati permettono l'apertura e la contaminazione dai generi piu' disparati, inoltre l'esiguo numero di linee guida che caratterizzano le produzioni catalogate sotto questo genere consentono infinite interpretazioni dell'idea di fare musica. Nel caso degli Slapp Happy, il rock convenzionale e tendente al pop viene rivisto e reinterpretato, per dare una visione diversa di come delle canzoni rock possono essere composte. Gli Slapp Happy, nella loro breve ed intensa storia, riescono ad uscire dagli schemi e sviluppare uno stile unico che li identifica inequivocabilmente. Etichettati spesso come band avant-guard, vertono piuttosto su un pop/rock non necessariamente in forma canzone, inconvenzionale, con siparietti ed escursioni strumentali, ed in questo possono ricordare i Gong. Accordi semplici, ritornelli orecchiabili, ma tutto particolare, in forma molto free, con testi ironici e giocosi. La band nasce da un'idea di Anthony Moore, che ci regalera' numerosi album solisti alla fine di quest'avventura. Anche gli altri due musicisti avranno carriere importanti: Peter Blegvad, che comincia la propria carriera proprio negli Slapp Happy, suonera' in numerose band fra cui gli XTC, e Dagmar Krause entrera', anzi restera' come vedremo, negli Henry Cow. L'inglese Anthony Moore, tastierista, viveva in Germania, era sotto contratto per la Polydor e aveva pronto il materiale per quello che sarebbe dovuto essere il suo terzo disco, ma l'etichetta, che stava prendendo una pericolosa deviazione commerciale, voleva pezzi piu' orecchiabili. Allora decise di formare una band con la sua futura moglie, la cantante tedesca Dagmar Krause, ed il suo amico americano Peter Blegvad, chitarrista, che all'epoca era ancora uno studente. I tre si avvalsero degli amici Faust per la parte ritmica ed il sax (Peter suona anche il clarinetto), e riarrangiarono i pezzi di Anthony, arricchendoli con idee individuali. Cio' che ne usci' e' questo meraviglioso e delicato Sort Of, che convinse la Polydor alla pubblicazione. Affiatatisi come band, i tre di li' a poco vorrebbero pubblicare un secondo album, ma la Polydor rifiuto' ancora una volta il materiale, richiedendo canzoni piu' commerciali. A quel punto al gruppo non rimase altro da fare che trasferirsi a Londra e firmare per la Virgin. Questo secondo album, chiamato originariamente Casablanca Moon, viene riregistrato con musicisti del circuito Virgin, fra cui Geoff Leigh, e dato alle stampe con il titolo Slapp Happy, siamo nel 1974. Il disco originale verra' eventualmente pubblicato 6 anni dopo con il titolo Acnalbasac Noom. Qui si chiude l'avventura degli Slapp Happy, salvo una futura reunion, in quanto proprio il sassofonista Geoff Leigh invita i tre alla collaborazione con la sua band di appartenenza, e cio' sfociera' in un album pubblicato a nome Slapp Happy/Henry Cow: Desperate Straights del 1975. A questo punto Anthony prosegue la propria carriera solista, Peter comincia la propria, e Dagmar rimane negli Henry Cow. Sort Of si apre con Just A Conversation, condotto da una chitarra strimpellante e dalla potente quanto aggraziata (molto teutonica) voce della Krause: pezzo che si lascia apprezzare immediatamente, per la semplicita' quanto genialita' degli accordi, una delle canzoni migliori dell'album. Paradise Express vede Peter al canto ed un brano trascinato ancora dalla chitarra, qui molto wah-wah-ggiante, ed un indovinato innesto di sax che contribuisce da solo a rendere questo pezzo particolare e piacevole. Si prosegue con I Got Evil: motivetto semplice ed accattivante, brano trascinato dalla voce ancora di Peter, ma la parte del leone la fa un clarinetto distorto, o forse un kazoo, che non solo nobilita il brano conferendogli un bella dose di peculiarita', ma lo completa e lo riempie. Canzone che suscita sicuramente ilarita'. In Little Girls World si risente la voce di Dagmar, che qui duetta con Peter ma si prende la responsabilita' delle parti piu' intense. Brano ancora semplice, calmo, quasi soffuso e sussurrato, rilassante; chitarra, piano e percussioni accompagnano la voce e si lanciano in un bello stacco strumentale a meta' pezzo, pero' e' sicuramente la parte cantata quella piu' interessante. La canzone seguente, Tulank Homun, e' la piu' breve e probabilmente la meno importante: si tratta di un rock'n'roll convenzionale con Peter alla voce (si e' capito che preferisco di gran lunga la Krause), senza particolare ispirazione. Per fortuna il pezzo successivo, Mono Plane, brano piu' lungo e probabilmente piu' prog del disco, ci salva dal passo falso precedente, sciorinando un brano solido e riuscito, a meta' fra blues e folk, con una grande prestazione di Peter alla chitarra. Pero' il brano migliore arriva dopo: Blue Flower e' un capolavoro pop con una melodia dolce e indovinatissima, una maiuscola prestazione di Dagmar al canto e una chitarra che piu' accattivante di cosi' non si puo'. E' la perfetta dimostrazione di come partire da un'idea semplice e costruirci intorno un brano incredibile grazie all'aggiunta di poche ma ottime intuizioni. I'm All Alone e' una canzone piu' intimista, lenta e pacata, ancora condotta dalla voce femminile, dalla chitarra e dal sax. La seguente, Who's Gonna Help Me Now, si colloca nuovamente ad altissimi livelli pur essendo semplicissima nella sua struttura: voce femminile e chitarra folk, melodia ed accordi praticamente perfetti ed orecchiabili; gli Slapp Happy ci stupiscono con motivi incredibilmente facili nell'esecuzione e assimilazione quanto catchy ed indovinati. Small Hands Of Stone, un gradino piu' in basso rispetto al brano precedente, e' condotto dal piano, dalle due voci e dal sax, ed e' piu' calmo e rilassato, percussione appena percepibile, ma si lascia ascoltare comunque con piacere. La title track e' uno strumentale di due minuti e mezzo per chitarra e basso, la cui perfezione ed immediatezza sono da ascoltare e godere dal primo all'ultimo secondo. Heading For Kyoto, il pezzo successivo, e' un altro esempio della fluidita' di composizione dei tre musicisti: canto, percussioni e strimpellate di chitarra sono i pochi e semplici ingredienti di un brano stupendo. Jumping Jonah, la canzone conclusiva, non aggiunge molto all'incredibile lavoro esposto, e' un boogie a piu' voci e la solita chitarra a fare da protagonisti. Per concludere, una band che ha saputo ritagliarsi il suo spazio negli annali pur senza proporre soluzioni audaci o barocche, tecnicismi portati all'estremo, pomposita', quanto piuttosto ha preferito puntare sull'ispirazione pura ed un sound conciso, immediato, scarno e senza fronzoli. Un bellissimo album di pop rock anni '60 rivisto in chiave folk-psichedelica.

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