mercoledì 28 ottobre 2015

Troya - Point of Eruption (1976)

Altra gemma rara dell'underground prog da parte di una band della quale non si sa niente, nata e scomparsa nel nulla nel giro di pochi anni, dopo aver dato alle stampe un unico album registrato con mezzi scarsissimi. Non erano i tempi di internet e dei software di registrazione, non erano neanche i tempi degli strumenti digitali, quindi si possono immaginare le difficolta' incontrate da una band dalla disponibilita' economica praticamente nulla. Nonostante tutto cio', nel 1976 il disco viene autoprodotto e distribuito in un numero limitato di copie, 200 per la precisione, l'impatto del disco sul mercato e' di conseguenza non pervenuto. La Garden of Delight riscoprira' il lavoro originale, oggi quotato sui 1000 dollari, e ripubblichera' questa perla nel 2001.
I Troya sono una band tedesca nata nei primi anni '70 e morta alla fine dello stesso decennio, del quale, come detto, non si sa granche'. Il loro prog e' abbastanza vario, romantico e malinconico spesso, con alcuni momenti piu' psichedelici e particolarmente "tedeschi", piu' sinfonico e melodico in altri frangenti. I membri della band sono Elmar Wegmann a chitarra, flauto e voce, Klaus Pannewig a batteria e voce, Wilhelm Weischer al basso e Peter Savelsberg ad organo, mellotron e piano.
L'intero lavoro dura poco piu' di mezz'ora ed e' diviso in 6 tracce relativamente brevi e semplici, tutte con atmosfere decadenti e malinconiche, mai tese o inquiete, ed in questo sono molto kraut nell'approccio: si preferiscono composizioni calme, dilatate, rilassate, sebbene non celestiali ne' sognanti. Cio' che ne esce fuori e' un album piacevole, scorrevole, conciso e rilassante, con ottime combinazioni chitarra/tastiere e praticamente nessun momento debole o poco convincente, ed e' un vero peccato non aver dato una chance in piu' a questa band che in anni successivi avrebbe probabilmente composto molta piu' musica, seppur perdendo quell'alone di fascino e mistero.
Si comincia con "She", traccia lenta e triste, narrante di una dipartita: l'organo stende un tappeto sonoro che sara' sempre molto presente durante tutto l'album, con chitarra e piano che si ritagliano le loro parti, mentre la voce fa capolino solo a meta' traccia e da quel momento in poi la trascina con se' fino alla fine. Brano molto romantico e di rara bellezza. La seguente, Battle Rock, e' il brano piu' lungo con i suoi 8 minuti: inizio un attimo piu' allegro e movimentato, con un bello stacco basso-batteria-chitarra, che presto lascia posto alla voce accompagnata da leggeri arpeggi di chitarra. Canzone meno tragica rispetto alla precedente, l'atmosfera e' adesso tranquilla e confortante, opportunamente spezzata da vivaci excursus tastieristici. Prima della fine il gruppo si lascia andare ad un altro momento romantico strappalacrime, con tanto di flauto ad impreziosire il lavoro di tastiera. Chromatic comincia con accordi di organo, presto incalzati dalla chitarra, che intarsiano una intro atmosferica e decadente; il ritmo aumenta e le stesse tastiere e chitarra ora duettano a creare un momento piu' roccheggiante ed energico, che porta questo pezzo strumentale a conclusione. Festival, a seguire, e' molto simile: introduzione dettata da chitarra e tastiere, che stavolta cominciano in maniera piu' dinamica ma comunque drammatica, e con l'atmosfera che cambia radicalmente alla fine della summenzionata introduzione, per tingersi di colori piu' caldi. L'unica differenza e' che questo e' invece un brano cantato. Sinclair, la quinta traccia, e l'altro strumentale del disco: malinconia e tristezza sicuramente traspaiono dalle partiture di questa canzone, ma anche tranquillita' e distensione. Il pezzo si rivitalizza verso la meta', quando le tastiere ci regalano un bellissimo assolo elettrico, per poi essere interrotte dalla chitarra che riprende note e toni iniziali e conclude. Infine Choke, perfetta chiusura dell'album: basso piu' in evidenza che dona alla traccia una parvenza di nervosismo ed irrequietezza, e tastiere ora molto veloci e decise, sicuramente la canzone piu' viva del lotto. C'e' spazio per un completo cambio di toni e clima, quando l'organo si fa improvvisamente soffuso, i ritmi calano e la chitarra sale in cattedra con un solo emozionante che tocca il cuore. A mio parere il brano piu' convincente, intenso e progressivo del lavoro in questione.
Non c'e' molto da dire di un album la cui scarsa fama non gli rende giustizia, un album bellissimo e toccante, simbolo di un'epoca cosi' ispirata e prolifica che molta musica e' rimasta nascosta o non prodotta affatto, a causa della difficolta' di accesso alle migliori tecniche di registrazione, nonostante l'incredibile validita' della proposta, un po' il contrario di cio' che avviene oggi. Quindi bisogna solo fare un lungo applauso alla Garden of Delight per aver rispolverato questo capolavoro.

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