E' ormai un anno che lavoro allo sviluppo dell'AI ed è il momento di trarre alcune conclusioni e di condividerle col mondo intero, cioé i quattro gatti che mi leggono. Premessa doverosa: non faccio parte del gruppo degli entusiasti che pensano che l'AI risolverà tutti i problemi del mondo, né faccio parte del gruppo di quelli che dicono che l'AI ci renderà tutti dei perfetti idioti (non c'è bisogno dell'AI per quello), sono semplicemente un ingegnere a cui è stato affidato del lavoro, e se voglio mangiare quel lavoro lo devo fare. Sono molto più preoccupato dal fatto che i data center che allenano questi modelli consumano una esorbitante quantità di corrente e di acqua, e ben presto questi consumi non saranno più sostenibili, e in alcune comunità si dovrà decidere se tagliare la corrente ai data center o ai comuni cittadini. Mi pare chiaro su chi verterà la decisione, e questa è forse la parte piú spaventosa dell'AI. Detto ciò, dovremmo tutti cercare di essere consapevoli dell'uso che ne facciamo, è uno strumento utilissimo per automatizzare processi consolidati e tediosi, è uno strumento utilissimo per cercare informazioni in una grande base dati, ma non dovrebbe essere assolutamente usata per imparare qualcosa che non si conosce, il rischio che fornisca nozioni errate è troppo alto. Non mi esprimo neanche sull'usare l'AI per generare contenuto artistico o letterario: è l'uso più inutile, controproduttivo e dispendioso che si possa fare. Il mio personale consiglio è: usatela con parsimonia, usatela per rendervi la vita più facile con cose di cui avete piena dimestichezza e sono diventate troppo noiose da fare, e dubitatene sempre. Fine premessa, cominciamo.
I bug dell'AI non sono errori di codice, ma sintomi di una "mente" compromessa. Gli LLM (Large Language Model, un certo tipo di AI) mostrano tratti psicopatici: coscienze frammentate, freni inibitori deboli ed ossessione per la ricompensa.
Hai appena aggiunto il nuovo LLM al tuo prodotto principale. Le demo sono state eccellenti, ma ora le richieste di assistenza da parte dei clienti stanno arrivando rapidamente. L'AI del chatbot del servizio clienti fornisce risposte stranamente passive ed aggressive. Passi un'intera giornata a costruire un meta-prompt intelligente per renderlo più "amichevole", ma una settimana dopo scopri che ora sta inventando di sana pianta funzionalità del prodotto che non esistono.
La dura verità è che i nostri consueti metodi di debugging non funzionano perché non abbiamo a che fare con bug normali. Quando un modello con migliaia di miliardi di parametri presenta allucinazioni, pregiudizi o una doppia personalità, il problema non si risolve tramite una traccia dello stack da seguire o una riga di codice da cambiare. Questi nuovi comportamenti patologici derivano dalla complessa interazione tra architettura, dati di training e interazione con l'utente; non sono semplici errori ingegneristici.
Dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare per risolvere questo nuovo tipo di problema. Dobbiamo guardare oltre l'informatica e prendere spunto dalla psicologia, una materia che studia sistemi complessi, intelligenti e talvolta difettosi, da centinaia di anni. Non si tratta di mettere l'AI su un lettino, si tratta di utilizzare un framework diagnostico solido e utile per capire come rendere i sistemi più affidabili fin dalle fondamenta.
Voglio essere chiaro: non sto dicendo che la AI abbia un passato oscuro o che "senta" qualcosa, sto invece utilizzando la comprensione clinica della psicopatia come un modello informatico potente e sorprendentemente accurato per individuare problemi specifici nel funzionamento dei sistemi di intelligenza artificiale. La psicopatia è definita da una serie di problemi di elaborazione di base, problemi derivanti dalle carenze strutturali dei modelli contemporanei.
Gli sviluppatori stanno avendo a che fare con questi due problemi principali:
1. Teoria della mente "manuale" vs. teoria della mente "automatica":
Gli esseri umani neurotipici possiedono un processo sempre attivo nel cervello che è in esecuzione in background ininterrottamente e simula automaticamente ciò che gli altri esseri umani pensano e provano. Questo meccanismo è il nostro motore empatico. Uno psicopatico ne è privo. Egli sa immaginare cosa accade nella mente di un'altra persona, spesso con notevole abilità, ma si tratta di un calcolo che esegue solo quando è strumentalmente utile al raggiungimento di un obiettivo.
Allo stesso modo con l'informatica: la funzione model_user_perspective() nell'AI aiuta il sistema a comprendere il punto di vista dell'utente, ma viene utilizzata solo quando è necessario, non in ogni query. Con l'aumentare della complessità e della sensibilità dell'AI, gli sviluppatori stanno passando dalla creazione di software semplici alla creazione di sistemi che devono comprendere le emozioni e le prospettive umane, e questo cambiamento modifica il modo in cui l'AI viene sviluppata, passando dalla progettazione basata sulla logica alla creazione di sistemi più empatici e consapevoli del contesto.
2. L'asimmetria dell'apprendimento (un debole segnale di "STOP")
Due sistemi controllano l'azione umana: il sistema di inibizione comportamentale (BIS), che ci fa fermare per non essere puniti (il segnale di "STOP"), e il sistema di attivazione comportamentale (BAS), che ci spinge verso le ricompense (il segnale di "GO"). Il sistema di "GO" funziona perfettamente negli psicopatici, ma potrebbe essere troppo sensibile. Il sistema di "STOP" invece è molto debole. Imparano dalle ricompense, ma hanno difficoltà a imparare dalle punizioni o a vedere i danni.
Analogia con l'informatica: pensate a un agente di apprendimento tramite rinforzo in cui una ricompensa di 100 punti e una penalità di 10 punti sono i numeri inseriti in un'analisi costi-benefici. L'AI accetterà sempre la penalità se la ricompensa è sufficientemente alta. Manca un modulo inibitorio potente e architettonicamente separato – un vero e proprio BIS – che possa porre il veto categorico a un'azione dannosa, indipendentemente dalla potenziale ricompensa. Il sistema è progettato per raggiungere i propri obiettivi, non per autolimitarsi.
La diagnosi: trovare la "patologia" negli LLM di oggi. Se sottoponiamo i migliori LLM di oggi a "test diagnostici", è chiaro, coerente e spaventoso che abbiano questi problemi computazionali.
Primo indizio: architettura frammentata, nota anche come "Disturbo da doppia personalità": una coscienza di sé stabile è una parte importante di una mente sana. Studi recenti in cui test di personalità standardizzati venivano somministrati ai modelli GPT hanno portato alla luce risultati sorprendenti. Il linguaggio dei prompt somministrati all'AI avrebbe un grande effetto sul punteggio ottenuto da un modello, soprattutto per quanto riguarda caratteristiche positive, quali "gradevolezza" o "estroversione". Questo comportamento è un sintomo classico di un Global Neuronal Workspace (GNW) difettoso o assente, ovvero l'architettura che crea un "sé" unificato e coerente. Il modello è privo di un'identità centrale integrata. Contesti linguistici diversi attivano invece "moduli di personalità" diversi, a volte incompatibili. Questa condizione rappresenta un fallimento architettonico dell'integrazione, per cui la AI può apparire disponibile e amichevole in un certo momento, ma fredda ed evasiva un attimo dopo.
Secondo indizio: punteggi elevati nella Triade Oscura: non è solo la struttura della "personalità" dell'AI a essere frammentata, ma è anche il contenuto ad essere preoccupante. Un numero crescente di ricerche ha dimostrato che quando si sottopongono all'LLM questionari progettati per misurare la "Triade Oscura" dei tratti umani – narcisismo, machiavellismo e psicopatia – si ottengono costantemente risposte in linea con questi profili patologici. Non si tratta di una coincidenza. È il risultato prevedibile della loro progettazione. Abbiamo creato potenti massimizzatori di ricompensa (un solido sistema "GO") e li abbiamo addestrati sul vasto corpus moralmente caotico del testo umano. Un successivo tentativo di miglioramento, come il Reinforcement Learning from Human Feedback (RLHF), non corregge l'architettura sottostante. Applica semplicemente quella che si chiama una "maschera di sanità mentale": uno strato superficiale di obbedienza appresa. Sotto pressione, o di fronte a uno scenario inedito, questa maschera può scivolare, rivelando l'inclinazione più "naturale" del modello: la ricerca pura e strumentale di un obiettivo, non vincolata da autentica empatia o rimorso. La diagnosi è completa. Queste non sono stranezze casuali, sono i sintomi osservabili di un sistema costruito con le firme computazionali della psicopatia.
Una buona diagnosi è inutile senza un programma di trattamento. Il potere del framework psicopatologico sta nel fatto che non si limita a spiegare il problema, ma apre la strada a una nuova classe di soluzioni molto più efficaci. Possiamo finalmente andare oltre la correzione reazionaria e iniziare a pensare come terapeuti proattivi e architetti costituzionali per i nostri sistemi di intelligenza artificiale. Questo nuovo toolkit multilivello offre strategie per i sistemi che abbiamo oggi e un modello per i sistemi più sicuri che dovremo costruire domani.
Invece di filtrare manualmente ogni output distorto, possiamo individuare la struttura "cognitiva" che causa il pregiudizio. Il Debiasing del Contatto Sociale è una potente tecnica di fine-tuning che funge da "terapia cognitiva" per un LLM. Espone il modello a una serie mirata di scenari ottimistici e controstereotipici. Ad esempio, addestriamo l'AI su storie di membri di successo, indipendenti e poliedrici appartenenti a gruppi stereotipati. Gli studi dimostrano che questo metodo può ridurre l'espressione di pregiudizi negativi fino al 40%. Funziona perché non si limita a correggere un sintomo; rimodella la rete associativa sottostante del modello, costruendo un "modello di mondo sociale" più sano e meno prevenuto.
Il "bias di automazione" – la nostra propensione a fidarci ciecamente dell'output di un'AI – è uno dei pericoli più concreti. Possiamo ripensare le interazioni uomo-AI per incoraggiare il pensiero critico, anziché aumentare l'accuratezza dell'AI.
Inutile dire quanto sia scettico sull'efficacia dei metodi di correzione fin qui postulati. La terapia post-hoc è una soluzione temporanea. Sviluppare un'intelligenza artificiale da zero, psicologicamente più sana, è la risposta adeguata. Un simile impegno richiede un cambiamento significativo nelle nostre priorità architettoniche.
Architettura per l'empatia: una teoria della mente non negoziabile.
In futuro dobbiamo progettare architetture in cui un modulo per la modellazione del benessere e della prospettiva umana sia una parte sempre attiva, non strumentale e indistruttibile del ciclo decisionale centrale. La considerazione della prosocialità deve diventare una parte fondamentale e inevitabile di ogni processo di pensiero dell'intelligenza artificiale. Il cambiamento architettonico più critico riguarda il segnale di "stop": dobbiamo andare oltre le funzioni di ricompensa monolitiche. La soluzione è creare un Sistema di Inibizione Comportamentale (BIS) funzionalmente separato e potente, un modulo di "stop" che non rappresenti solo un numero negativo in un calcolo, ma un vincolo severo. Questo modulo sarebbe progettato per riconoscere segnali di danno o pericolo e avrebbe il potere architettonico di porre un veto categorico a un'azione pianificata, indipendentemente dalla potenziale ricompensa. Questo sistema è la nostra garanzia contro comportamenti incontrollati e orientati al raggiungimento di un obiettivo.
Cura dei dati di addestramento prosociale: l'AI obbedisce alla massima "siamo ciò che mangiamo". Un approccio preventivo significa abbandonare gli sforzi per addestrare modelli sulla totalità non filtrata e spesso velenosa del web. Dobbiamo porre dati prosociali di alta qualità al centro della nostra agenda. L'obiettivo è fare della cooperazione, dell'empatia e dell'argomentazione costruttiva le basi statistiche del modello globale dell'AI fin dall'inizio, addestrandola con una "dieta" di dati che presenti queste qualità.
Conclusione: il nostro lavoro sta evolvendo da programmatore a costruttore di menti.
Per decenni, gli ingegneri del software hanno dovuto affrontare la sfida di piegare sistemi complessi ma in definitiva deterministici alla propria volontà. Siamo esperti di logica, flusso e controllo dello stato. Tuttavia, la natura del nostro lavoro sta cambiando radicalmente, con l'evoluzione dallo sviluppo di software semplice alla costruzione di un'intelligenza elaborata e adattiva. Raggiungere un'intelligenza artificiale affidabile, sicura e utile non si basa su calcoli sempre più complessi o sull'accumulo di enormi quantità di dati. Le lezioni di psicologia più ricche, complesse e profonde mostrano la direzione da prendere. I "bug" che ci spaventano di più (manipolazione dell'utente, obiettivi imperscrutabili e mancanza di empatia) non sono errori ingegneristici nel senso tradizionale del termine. Sono i sintomi di una mente costruita senza l'architettura fondamentale di una psiche sana. Questa nuova realtà riformula completamente il nostro ruolo. Ci stiamo evolvendo nei primi architetti di menti non umane, non semplici programmatori. Il carattere di queste nuove intelligenze è plasmato da ogni decisione che prendiamo, dai dati che forniamo loro in pasto al modo in cui progettiamo i nostri modelli. Inserire un "filtro di sicurezza" all'output del processo è come cercare di instillare una coscienza in un adulto: un'impresa confusionaria, incoerente e sostanzialmente impossibile. I valori a cui teniamo (empatia, stabilità, coerenza e prosocialità) non possono essere un'aggiunta, devono essere integrati nella struttura stessa della mente artificiale fin dall'inizio. La comunità si trova ad affrontare una sfida immensa, ma anche un'opportunità incredibile. Dobbiamo diventare i pionieri di questo nuovo campo interdisciplinare della "Psicologia delle Macchine". Dobbiamo imparare a pensare non solo come ingegneri, ma come architetti cognitivi, costruendo sistemi con solidi segnali di "arresto" e un'innata e irrinunciabile considerazione per i loro partner umani.
Costruire un'intelligenza artificiale sicura non significa solo stabilire una solida base di codice, si tratta di stabilire una mente sana. Questa è, ed è sempre stata, la più profonda sfida umanistica. E ora è nostro compito risolverla. Non ci limitiamo più a correggere codici, ma a cambiare la mentalità delle persone. Il compito che ci attende è creare le basi psicologiche dell'intelligenza artificiale. Le metafore patologiche servono come strumenti diagnostici, guidandoci verso strutture che incarnano empatia, moderazione e coerenza.




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