mercoledì 20 ottobre 2010

Warm Dust - Warm Dust (1972)

I Warm Dust sono stati una band inglese dedita a certo jazz/rock di pregevole fattura. Durati pochissimo, appena due anni dal 1970 al 1972, fanno comunque in tempo a pubblicare tre album dalle vendite nulle ai tempi, nettamente rivalutati oggigiorno. La critica predilige i primi due, a me piace il terzo, ultimo, omonimo. La loro musica parte dal jazz, colorato, vivace, caldo, con molti strumenti a contendersi la scena, per contaminarsi di rock, fusion, psichedelia, tutto molto free-form. Data la raffinatezza della loro proposta si potrebbero accostare ai Nucleus, tanto per trovare un termine di paragone. Le liriche provocatorie che spesso affrontano argomenti importanti inspessiscono ulteriormente il valore di questo gruppo. Inoltre i Warm Dust sono stati la prima band del cantante compositore polistrumentista Paul Carrack, il quale, dopo aver militato in vari gruppi fra cui i Roxy Music, sara' protagonista di una folgorante carriera solista nell'ambito jazz. Oltre a Paul che suona organo, piano e percussioni, vi sono Les Walker, cantante, Alan Soloman al sax, flauto, tastiere e synth, John Surgey a chitarra, sax e flauto, Tex Comer e' il bassista, infine John Bedson a batteria e percussioni. La foto di gruppo del sopracitato sestetto e' cosi' bella che non posso non postarla. L'album Warm Dust presenta una prima facciata piu' orientata verso il jazz ed una seconda dove invece gli elementi prog emergono vistosamente, fino a lasciarsi andare a sinfonismi come la penultima traccia e l'attesa, e riuscita, suite finale. Si parte con Lead Me to the Light, introdotta dal flauto, molto presente in tutto l'album, con la calda voce di Les che subito irrompe ad avvolgere l'ascoltatore con il suo pathos; la melodia e' calma, piacevole, rilassante, sembra quasi di ascoltare una ninna-nanna d'altri tempi. La parte centrale e' invece dominata dall'organo che e' lasciato libero di spaziare mentre la sezione ritmica forza i tempi nei binari giusti e il sax da' man forte. La parte finale torna sul cantato, stavolta coadiuvato da un controcanto, a rendere l'atmosfera piu' decadente e romantica. La seconda canzone e' Long Road, piu' movimentata e veloce, con i fiati a far da padroni. Il ritmo e' piu' jazz/blues adesso, la chitarra elettrica finalmente riesce a trovare un po' di spazio; dopo un paio di minuti i tempi accelerano e il sax si lascia andare ad un motivo irresistibile. Il finale circolare riprende l'inizio. Mister Media vede invece un ritmo tribale, con percussioni e batteria in grande spolvero, i soliti fiati a dirigere il traffico e la voce che si infila alla perfezione. Non ci sono variazioni di sorta, la melodia e' indovinata abbastanza da poter essere trascinata per 3 minuti. Con Hole in the Future si chiude il lato A e si sente la prima lunga composizione, con i suoi 8 minuti. Il jazz/rock e' ancora molto forte e tutti gli strumenti, voce compresa, sono ben equilibrati e all'unisono, a comporre un motivo ancora una volta indovinato, per un inizio che colpisce subito. Il brano si arresta letteralmente dopo due minuti e parte un pezzo onirico e psichedelico trascinato dal flauto, con batteria, basso e sintetizzatore che rendono ottimamente un'atmosfera opprimente ed angosciante, per poi fermarsi e far ripartire il tema iniziale il quale, al contrario, e' sereno e rassicurante. A Night on Bare Mountain e' semplicemente un intermezzo di un minuto che riprende l'omonimo tema classico. Infine con The Blind Boy si arriva alla tanto anelata suite: 18 minuti di prog/jazz che cominciano con un tema abbastanza drammatico, trascinato dalla voce prima, dalle tastiere poi, allungato e dilatato, esplorato in ogni variazione possibile. Si sentono notevoli cambi di tempo e ottimi spunti strumentali in questa parte preliminare. La parte centrale vede invece un notevole solo di flauto che rende l'aria piu' rarefatta ed ovattata; ma e' solo un momento perche' ben presto il ritmo cambia ancora una volta e l'atmosfera diventa pesante e angosciosa mentre Les ricomincia a cantare, accompagnato da tastiere e fiati a rendere il tutto ancora piu' opprimente. La canzone si interrompe nuovamente come in Hole in the Future e la conduzione passa ora ai fiati, adesso meno tesi ma neanche tanto rilassati; si torna su sentieri piu' propriamente jazz, con il sax libero di svariare e basso e tastiere a ricamare. Gran finale con fiati sparatissimi. Nient'altro da aggiungere, un gruppo che meriterebbe piu' notorieta'.

6 commenti:

Armando ha detto...

Ciao.
Anzitutto complimenti per il blog: è probabile che lo inserisca tra i miei links.
Condivido in pieno la tua analisi sul terzo disco dei Warm Dust, che anche a me piace molto. Trovo che sia un gruppo fin troppo sottovalutato rispetto ai suoi meriti...Misteri del prog :-)
In ultimo, vedo con piacere che hai citato tra i links il mio sito "AltreMuse", ma con un indirizzo sbagliato. Quello valido, che ti prego di aggiornare, è il seguente:
http://altremuse.xoom.it

Grazie, e ancora complimenti.
Armando

bob ha detto...

Grazie a te, ho corretto il link ;)

Anonimo ha detto...

Conosco il saxofonista dei warm dust, Alan Solomon. Vive in Svizzera da 40 anni e in quel Paese ha suonato in più gruppi di revival rock.

bob ha detto...

Fighissimo.

Unknown ha detto...

Conosciuti da poco ,ma immediatamente percepita la raffinatezza sonora .
Dopo 50 anni ...peccato

bob ha detto...

Beh, meglio tardi che mai :)