venerdì 30 marzo 2018

Titus Groan - Titus Groan (1970)

I Titus Groan sono una band inglese attiva alla fine degli anni '60 che riesce a pubblicare un solo album, omonimo, nel 1970, e che prende il nome da un romanzo gotico di Mervyn Peake, molto simile a Tolkien nello stile. A tale album seguira' la pubblicazione di tre singoli che pero' risulteranno essere l'ultimo lascito di questo gruppo che si scioglie di li' a poco e svanisce nell'oblio rock. Questi tre singoli diventeranno poi bonus track della ristampa dell'album in questione, ristampa che consiglio caldamente visto che le tre canzoni menzionate sono alcune fra le migliori. Come tantissimi gruppi tardo sessantini, i Titus Groan fanno inconsapevolmente prog, nel senso che mischiano diversi stili nel tentativo di risultare originali e contribuiscono cosi' alla nascita di un nuovo genere, esattamente come Jethro Tull, Gentle Giant e molti altri. Ho citato questi due gruppi perche' il sound dei Titus Groan vi si avvicina molto, tentando una commistione di folk, hard rock e jazz, con fiati come flauto ed oboe che donano quel tocco folk, e la chitarra che si prende la responsabilita' di occuparsi della parte piu' rock, il tutto in maniera molto melodica ed orecchiabile, senza spigolosita' o soluzioni audaci. I musicisti sono Stuart Cowell a tastiere, chitarra e voce, Jim Toomey alla batteria, Tony Priestland suona sax, flauto ed oboe, infine John Lee e' il bassista, tutti scomparsi nel nulla al termine di questa fugace avventura, a parte Toomey che suonera' per qualche altro anno nei Tourists prima di sparire anche lui. Val la pena fare menzione del fatto che i Tourists sono stati una band pop inglese attiva nei tardo anni '70 dalla quale emergeranno Annie Lennox e Dave Stewart, fondatori ed unici membri degli Eurythmics. E devo quindi tessere le lodi di etichette come la Esoteric Recordings, che stanno facendo un lavoro di recupero e restauro incredibile, riportando alla luce band oscure ma validissime, che ebbero l'unica colpa di essere troppo in anticipo sui tempi.
Si parte con It Wasn't For You, pezzo di 5 minuti e mezzo molto rockeggiante e jazzato, con chitarra e fiati in grande evidenza. Non uno degli episodi piu' rilevanti dell'album, ma canzone piacevole e scorrevole, che mette subito in chiaro gli intenti della band. Segue il brano piu' lungo, i quasi 12 minuti di Hall of Bright Carvings, un po' il "manifesto" del gruppo, visto che vi sono concentrati tutti gli stili e tutte le influenze che questi ragazzi hanno assorbito e sono in grado di riprodurre. Inutile dire che e' una delle migliori canzoni del disco, anche se non la mia preferita, e che e' molto facile perdercisi, visto che non segue una struttura regolare, e' un'alternanza di umori e di atmosfere, sfuriate strumentali e momenti piu' calmi, cori e fiati, basso e batteria sempre protagonisti, assoli di chitarra, un gran bel sentire insomma. La terza traccia, I Can't Change, e' una delle meglio riuscite ed una delle mie preferite, condotta da flauto e voce, leggermente malinconica e tendente al folk, anche se la batteria incalzante e la chitarra sempre presente vivacizzano l'atmosfera; il prog esplode verso la meta' (la canzone e' lunga 5 minuti) con un refrain che taglia completamente con quanto sentito finora, fra la psichedelia e il jazz, per poi lanciarsi in un pezzo rock'n'roll quasi country prima e tendente al pop dopo. Strumenti e voce cambiano camaleonticamente durante tutta la durata della canzone per adattarsi ai diversi stili rappresentati; ragazzi, questo e' un gran pezzo. It's All Up With Us comincia con una bella intro di sax, basso e voce, morbida e catchy, a meta' fra folk e pop, per poi evolvere sugli stessi binari con gli strumenti che a mano a mano si intromettono e si incastonano nel sound; pezzo che non presenta cambiamenti netti o variazioni spinte, forse il brano piu' omogeneo del disco, ma che fa volare i 6 minuti di durata grazie all'indovinata melodia. Fuschia (scritto proprio cosi', e' un typo) e' un'altra delle mie canzoni preferite e chiudeva la versione originale di quest'album; molto rockeggiante, chitarra abrasiva e flauto sullo sfondo, la voce si occupa della conduzione, grazie ad un motivo ancora una volta piacevolissimo e di facile assimilazione. Di nuovo 6 minuti di canzone che non sfoggia particolari cambi di stile, ma la melodia, quella si' che cambia, ed e' sempre un gran sentire, e' come due o tre tracce pop racchiuse in una. Sesta traccia della ristampa, Open the Door Homer, segna un piccolo cambiamento verso sonorita' piu' accessibili che caratterizzano tutte e tre le bonus track; non una rivoluzione, non un cambiamento cosi' evidente, ma si percepisce il tentativo della band di andare oltre il fallimento commerciale dell'album, cercando di rendere lo stile piu' semplice e di immediata fruizione. Canzone di tre minuti e mezzo, trascinata da voce e flauto, un pop carino e nulla piu'. Woman of the World migliora un tantino, sempre di pop rock si tratta, ma si sente anche blues e folk, inoltre il fatto di aver mantenuto i fiati come parte portante della melodia segna punti a favore del nuovo sound, che cosi' diverso dal vecchio poi non e', giusto un pochino piu' semplice. E questa sensazione e' confermata dall'ultima traccia e terza bonus track, Liverpool, di nuovo quasi 6 minuti di lunghezza, mix di diversi stili, cambi di tempi e sonorita' nella stessa canzone, melodia sempre e comunque orecchiabile, ci sono tutti gli ingredienti per un'ottima canzone prog e degno finale di un lavoro molto riuscito.
Inutile ripetersi ancora sulla magnificenza della musica proveniente da quel periodo, i lavori di scavo dell'underground inglese continuano a dissotterrare gemme imperdibili come questa, quindi e' meglio tenersi aggiornati.

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