giovedì 14 marzo 2024

Ciprì e Maresco - Cinico TV - Grazie Lia - Breve inchiesta su Santa Rosalia (1996)

Cinico TV, dei registi Ciprì e Maresco, era un programma che andava in onda a notte tarda su RaiTre nei primi anni '90. Ovviamente non ero a conoscenza della sua esistenza, essendo un fanciullo che la notte si preoccupava soprattutto di dormire, pero' alcuni sketch venivano riciclati dalla trasmissione in pre-serata Blob, programma che a casa mia si guardava molto, e quelli sketch mi sono rimasti ben impressi nella memoria, seppur durassero pochi minuti. Lo squallore, l'orrido, l'atmosfera sospesa nel tempo, i ruderi, le macerie architettoniche ed umane, le immagini in bianco e nero, tutto cio' era piacevole come un pugno nello stomaco, ma cosi' affascinante e magnetico. Non sono un critico cinematografico e non possiedo il linguaggio per definire un'opera cosi' diversa, straniante ed inquietante, quindi mi affidero' ad alcuni estratti per farvi capire di cosa si tratta, qualora non ne siate a conoscenza.

Se dovessi scegliere due nomi per dire chi, in questo caso nel cinema, ha avuto il merito di tirarne fuori una rappresentazione a dir poco precisa, seppur nella sua forma più surreale e post-apocalittica, senza dubbio direi che si tratta di Daniele Ciprì e Franco Maresco, la coppia di registi palermitani che ha avuto la straordinaria capacità di mettere nero su bianco – letteralmente – la Sicilia, tirandone fuori gli aspetti più disgustosi, miseri, veri e contraddittori. Ciprì e Maresco in poco più di vent’anni di lavoro insieme, non tenendo conto delle loro opere da singoli, hanno dato vita a un universo parallelo in cui si riversano tutte le cose che ogni giorno chi vive o ha vissuto in Sicilia sa che esistono, le riconosce, ma non saprebbe descrivere: hanno creato un luogo parallelo in cui si riuniscono le caratteristiche più archetipiche, antropologiche e fisiologiche, di questa isola disgraziata, senza nessuna necessità di filtrarne l’aspetto con qualche colore sgargiante da carretto siciliano. Hanno ripulito da canditi, lustrini e barocco l’isola dei ciclopi per restituirne un’immagine che si avvicina molto di più alla tradizione letteraria classica, quella di Pirandello e di Verga, piuttosto che a una cartolina di promozione turistica contemporanea.
Già a partire dal nome della serie si intuisce l’intento dei due registi palermitani, ovvero quello di mettere in scena, senza nessun freno inibitorio o edulcorante, una realtà fatta di personaggi osceni, disgustosi, reietti e dimenticati dal mondo che popolano i sottoboschi dell’isola delle arance e delle paste di mandorla, che si rivela così non per la sua gradevolezza folkloristica di tamburelli e marranzani ma per la sua spietata bruttezza, una mostruosità tanto disturbante quanto rivelatrice. La Sicilia di Cinico TV è infatti un distillato di disagio sociale, un insieme di ritratti talmente orripilanti da risultare sgradevoli alla vista, per come parlano, per quello che dicono, per il loro aspetto grottesco. Gli attori di questa serie sono spesso gli stessi che poi verranno utilizzati anche nel cinema dei due registi, e sono quanto di più verista che nemmeno De Sica avrebbe potuto ambire a tanto: personaggi ricorrenti ognuno caratterizzato da qualche malformità, sia fisica che mentale. Ed è qua che si attiva uno dei meccanismi rappresentativi più efficaci di Ciprì e Maresco, una strategia che sarà fondamentale nei loro film e nei loro documentari successivi, che non solo è in grado di mettere in scena i ritardi mentali, le malformazioni e le inettitudini peggiori – spesso legate al sesso e alla sua manifestazione più oscena e primitiva, ma anche alla religione – dell’essere umano nel modo più sincero e innovativo possibile ma è anche un modo incredibilmente efficace di mettere in scena questo aspetto della realtà.
Le domande che i registi pongono agli intervistati, in questo scenario surreale e diroccato, con un bianco e nero intenso e violento che rende tutto il paesaggio attorno una sorta di angolo metafisico abbandonato al degrado umano e ambientale, sono poste con una formula che diventerà proprio una cifra stilistica della coppia. Così come il racconto di questa tendenza all’approccio con la diversità fatta non di accoglienza e gentilezza ma di spietata sfacciataggine sarà anche il perno di un’estetica talmente assurda e repellente da diventare comica. E soprattutto, l’uso di una lingua sporca, fastidiosa, eccessiva.

Daniele Ciprì e Franco Maresco fanno irrompere sul piccolo schermo una galleria di soggetti altrettanto inquietante: in Cinico TV compaiono persone di una tipologia che il telespettatore non ha mai visto prima, un’umanità sottoproletaria e malconcia quant’altre mai, tirata fuori da chissà quali anfratti di Palermo e invitata a interpretare una rappresentazione grottesca della propria disgraziata esistenza.
L’uomo viene esposto da Ciprì e Maresco nella sua fragilità esaltata dalla seminudità (a torso nudo o in mutande), e l’atroce bassezza della condizione dei prescelti viene scarnificata dalla voce fuori campo di Maresco, che interroga e infierisce.
E allora vediamoli questi nostri fratelli così diversi da noi:
Giuseppe Paviglianiti, forse il più noto a causa del suo aspetto indimenticabile (ventre enorme e capelli unti), della mimica che assumeva quando emetteva (finti) peti dalla lunghezza e frequenza improbabili, e del suo meraviglioso tormentone “Certamente!”.
Pietro Giordano, non privo di capacità interpretativa e proprietà di linguaggio, il suo personaggio è consapevole di essere una nullità.
Rocco Cane, al secolo Marcello Miranda, non parla mai, è un frenastenico che quasi sempre si limita a stare in scena (spesso a occhi chiusi), salvo quando mima freneticamente atti sessuali.
Fortunato Cirrincione, incapace persino di pronunciare correttamente il suo nome.
Francesco Tirone, perennemente in tenuta da ciclista agonista, stralunato ma molto vispo nei dialoghi con la voce fuori campo.
Giuseppe Filangeri, ragazzo che vive in un mondo tutto suo dominato dalla religione (o meglio dei dogmi e della pratica religiosa), impersona sé stesso, e temo che non potrebbe fare altro.
Chiudo con i fratelli Abbate, Franco e Rosolino, che rispondono sempre in coro, con veemenza. Sono ossessionati dalla sessualità e si lagnano del fatto che le donne “provocano” perché hanno “tette, vergogna e culo” e non ce lo dovrebbero avere (quest’ultimo), e invece “ce l’hanno”.

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