sabato 17 ottobre 2009

Pavlov's Dog - Pampered Menial (1975)

I Pavlov's Dog sono stati la miglior band americana che si sia dedicata al prog, hanno composto probabilmente il miglior album di prog americano e hanno annoverato nelle loro file uno dei migliori cantanti del genere. Approccio stilistico singolare, il loro e' un mix di folk americano, rock e prog, con un occhio di riguardo alla melodia, e questa eterogeneita' e' dovuta al fatto che il gruppo e' composto da ben sette elementi, ciascuno dei quali porta un background musicale diverso. Il nome scelto e' anche abbastanza insolito, Ivan Pavlov fu un fisiologo russo insignito di premio nobel nel 1904 per i suoi studi sui riflessi condizionati, studi per i quali utilizzo' dei cani (quando non c'erano ancora le associazioni animaliste), da cui il nome. La band si forma nel 1975 a St. Louis, Missouri, e da' immediatamente alle stampe questo capolavoro, seguito da altri due album nel 76 e nel 77, a gruppo ormai gia' sciolto. Una reunion nel 1990 portera' un altro album, e' inutile dire che nessuno di questi dischi e' stato in grado di eguagliare la bellezza del primo. Proprio a causa del grandissimo successo riscosso, la band ha subito pesanti pressioni dalla casa discografica, la Columbia, pressioni che hanno minato la coesione interna, gia' difficile da gestire di per se' a causa dell'elevato numero dei componenti, e causato di fatto lo scioglimento del gruppo. Il sound dei Pavlov's Dog non e' eccessivamente complicato o contorto, si basa su idee semplici e ben sviluppate, parte da spunti melodici per poi divagare su di essi, senza mai esagerare o dilungarsi troppo. E' una musica che non punta sulla contaminazione o sulla complessita', quanto piu' sull'originalita', sull'enfasi e sulla passione. Proprio la passione spicca fra le caratteristiche del gruppo, passione espressa dalla calda, emozionante, intensa voce di David Surkamp, il cantante di cui sopra, dotato di un'ugola inconfondibile, androgina, in grado di raggiungere vette spropositate. Dicevo, questa passione e' anche espressa dalla forte carica di introspezione che caratterizza ogni canzone, e dai testi, spesso molto romantici ed evocativi, e tutti scritti da David, anche autore di 6 delle 9 tracce di cui e' composto l'album. Il gruppo e' quindi composto da David Surkamp, cantante e chitarrista, Steve Scorfina alla chitarra, David Hamilton alle tastiere, Mike Safron alla batteria, Rick Stockton al basso, Sigfried Carver al violino, Doug Rayburn a flauto e mellotron. La loro musica e' fondata sugli intrecci creati dalle chitarre e dalla tastiera, oppure dal flauto e dal violino, con pochi assoli personali, su cui troneggia la splendida voce di David, mentre la sezione ritmica si limita ad accompagnare ma senza sbagliare una nota. Il disco comincia con Julia, la piu' bella canzone del disco a mio parere, una dichiarazione d'amore in tutto e per tutto: un crescendo di piano con dolcissimi arpeggi di chitarra acustica e un assolo di flauto nella parte centrale sono solo il contorno per la prima prestazione del cantante, il quale mostra subito tutto il suo immenso pathos. E' una canzone che spacca il cuore. La seconda traccia e' Late November, dai toni piu' progressivi rispetto a Julia, che e' piu' pop-folk: ancora una canzone dai tristi umori, basata su un riff di chitarra elettrica e folate di mellotron, con ancora la voce di David a dominare il tutto. Con Song Dance si toccano invece lidi hard rock grazie ad una chitarra distorta che insegue una batteria martellante ed ossessiva, salvo poi arrestarsi improvvisamente per lasciare spazio ad uno splendido assolo di violino. Fin qui la band americana ha sicuramente stupito. Con Fast Gun, condotta dalle tastiere, l'atmosfera cala un po', la parte centrale del disco e' piu' "canonica" ma sempre di ottima fattura. Natchez Trace e' orientata sul rock, con un grande Steve alla chitarra elettrica che duetta alla grande con le tastiere e con la solita voce di David. Con Theme for Subway Sue si torna su livelli elevatissimi: grande potenza espressiva, e' una ballata molto melodica e romantica valorizzata ulteriormente da un magnifico assolo di chitarra. Poi vi sono due brevi, ma intensi brani, ad introdurre il gran finale del disco; si tratta di Episode, acustico e delicato, e Preludin, strumentale e vivace, su un tema che ha qualcosa di rinascimentale. Cosi' si arriva al pezzo finale, Of Once and Future Kings, degna conclusione dell'album: brano di impronta rock, basato sugli intrecci fra piano e voce con le chitarre ad accompagnare, ricca di cambi di tempo e di atmosfera, e' infatti la traccia piu' lunga. Un disco emozionante, sanguigno, originale, dai toni fortemente enfatici, malinconici, eppure molto semplice e di immediata assimilazione, si sente l'anima americana della band. Fortemente consigliato.

2 commenti:

abissi scarlatti ha detto...

hei grazie. Spero continuerai a leggermi.

bob ha detto...

certo che continuero`, mi piace come scrivi. sei riuscito comunque a trovare il mio blog nonostante il link sbagliato